Il Ministero per l’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR) ha ritirato, a pochi giorni dall’emanazione del bando ufficiale, il supporto al programma ERA-CAPS sull’espansione dell’area europea della ricerca nel settore della biologia molecolare vegetale (“Expanding the European Research Area in Molecular Plant Sciences”). Si tratta di un programma di ricerca collaborativo europeo finanziato dalle agenzie dei paesi partecipanti, i cui contributi vanno a esclusivo beneficio dei rispettivi gruppi nazionali. La decisione di chiamarsi fuori da questo programma di ricerca, nonostante l’adesione precedentemente accordata, evidenzia l’incapacità del Paese di pensare all’innovazione come una leva cruciale per uscire dalla crisi.
Nonostante la diffusa percezione di un surplus produttivo del comparto agricolo, la nostra bilancia agroalimentare presenta un saldo negativo da molti decenni perché importiamo circa la metà delle derrate alimentari, anche se una parte di queste viene poi riesportata come prodotti lavorati. Il deficit cronico dipende in parte dalla carenza di terreno facilmente coltivabile, la cui superficie diminuisce sempre più a seguito dell’urbanizzazione specialmente dei terreni più fertili, in primis la pianura padana. La riduzione della superficie coltivata associata alla mancanza di innovazione non può che peggiorare ulteriormente il deficit strutturale del nostro Paese in questo senso. Per questo sarebbe intelligente e sensato investire in ricerca, come fatto in altri Paesi, per aumentare le rese e ridurre, ove possibile, la dipendenza dalla chimica. Molte opzioni sono possibili e la ricerca aiuta ad esplorarne la fattibilità. Anche gli imprenditori agricoli possono essere parte di questo processo, se gli si permette, o addirittura incentiva, l’esplorazione di innovazioni invece di preservarli dalla competizione. La perdita di centinaia di migliaia di aziende agricole, il cui numero si è dimezzato in 30 anni (1,6 milioni è il dato del 2010) testimonia che l’attività agricola non attira, non ultimo perché fatica a produrre reddito. Sistemi più efficienti renderebbero la vita più facile ai nostri agricoltori e migliorerebbero la nostra bilancia commerciale.
Tuttavia la ricerca sulle piante in Italia è sottofinanziata, se non osteggiata, dalle stesse istituzioni, vedi il caso del campo sperimentale dell’Università della Tuscia distrutto e definitivamente bruciato pochi giorni or sono su ordine del Ministero per l’Ambiente. Il motivo principale è stata l’incapacità dello stesso ministero, insieme a quello per le Politiche Agricole, di approvare i protocolli di sperimentazione, previsti per legge da diversi anni, che risultavano già stilati ma purtroppo giacenti in qualche cassetto.
La scienza non è come un rubinetto che si apre e si chiude a piacere, secondo il desiderio politico. Una volta chiuso, una volta disperse le competenze e le persone, ci vogliono molti anni (e molti fondi) per ritornare ad essere forti in un certo settore. L’Italia ha avuto nel passato un ruolo guida nell’ambito della ricerca sulle piante e dello sviluppo agricolo. Con scelte come quella recente, l’Italia viene meno alla propria storia e responsabilità, specialmente nei confronti di tutti quei paesi che ancora guardano a noi. Inoltre la crisi del cibo non è solo un problema italiano o europeo ma è piuttosto un problema globale, destinato ad acutizzarsi per l’aumento della popolazione e l’aumento dei consumi dovuto al miglioramento delle diete. Non supportare la ricerca di base, in un ambito strategico come l’agricoltura, è miope. Ci sono infatti numerosi esempi di ricerche di base svolte su piante che hanno poi avuto enormi ricadute sull’agricoltura e sull’economia dei paesi coinvolti, come ad esempio la ricerca sulle colture in vitro e sui tumori vegetali negli anni 50-60 che ha portato alla nascita di settori che valgono decine di miliardi a livello globale, anche se nessuno avrebbe potuto immaginarlo. In Italia, ad esempio, la produzione annuale di piante da micropropagazione, costituita in gran parte da alberi da frutto, ha raggiunto quest’anno 29 milioni di unità. Questo settore non esisterebbe se la ricerca di base non avesse indagato e scoperto in passato come coltivare parti di pianta in condizioni sterili. E’ la ricerca di base che genera strumenti e conoscenze da cui spesso poi dipende la capacità di produrre nuove varietà e rispondere ad un ambiente che cambia. Purtroppo, numerosi gruppi di ricerca di alto livello del nostro Paese non potranno essere coinvolti nel programma ERA-CAPS per la decisione del ministero di ritirare il supporto a questo finanziamento europeo.
Per questo chiediamo al Ministro di riconsiderare la decisione e di consentire la partecipazione
anche ai gruppi italiani.
Primi firmatari:
Lucia Colombo,
Martin Kater,
Simona Masiero,
Piero Morandini,
Paolo
Pesaresi,
Chiara Tonelli
(Dipartimento di Bioscienze Università di Milano)
La lettera è stata sottoscritta dai seguenti enti:
- Società Italiana di Genetica Agraria in rappresentanza di circa 400 scienziati del settore.
- Piattaforma Tecnologica nazionale “IT-Plants for the Future” che raggruppa rappresentanti di aziende delle filiere agro-alimentare ed agro-industriale e ricercatori di Universita' ed altri enti pubblici (CNR, CRA, ENEA, ecc.) attivi nella ricerca di base ed applicata sulle piante; ha come scopo principale la promozione e il coordinamento della ricerca nel settore.
Adesioni di singoli professori e ricercatori di Università e centri di ricerca italiani che operano nel settore della biologia vegetale (l’elenco aggiornato è disponibile a questo indirizzo):