E’ lo slogan che abbiamo immaginato per proporre un aumento di programmi scientifici di qualità nelle nostre reti RAI. Soprattutto sfruttando le possibilità dei nuovi canali digitali, ci ha detto Anna Maria Tarantola, presidente RAI, in una sua recente conferenza alla Accademia dei Lincei, si può aumentare quella “offerta formativa” che è parte importante della missione, per non dire della raison d’etre, di RAI.
Applausi scroscianti di Lincei e pubblico, naturalmente. E allora, anche gli scienziati devono fare la loro parte, anche al di là di quello che molti hanno fatto e stanno già facendo, per RAI o per altre reti o “piattaforme”, inclusa SKY.
Per INAF ed altri Enti di ricerca, un nuovo modo di cominciare è stato quello di formalizzare una collaborazione con RAI Educational, cioè una struttura (non un canale) RAI dedicata a pensare e produrre programmi formativi.
I programmi possono essere poi collocati nel palinsesto di canali digitali (per esempio RAI scuola) o generalisti (per esempio RAI 3). E’ chiaro che, se c’è la volontà centrale di RAI, molto poi dipende dall’impegno della comunità scientifica, compresa quella dei giornalisti scientifici, a partecipare attivamente alla creazione di programmi di qualità (per intenderci, niente “Kazzenger”…).
Se tutti forniamo contenuti interessanti, la RAI potrebbe attivare uno spazio tutto per noi.
INAF, da parte sua, ha appena “co-prodotto” con RAI Educational un programma in otto puntate “Il mistero delle sette sfere”, girato interamente a settembre nei giardini dell’Osservatorio di Monte Mario, a Roma. Attualmente, il programma è già in onda su RAI scuola, devo dire dopo un lavoro di montaggio e post-produzione rapido ed efficiente. Pensare e poi partecipare ad un programma di comunicazione della scienza, lavorando naturalmente sotto la guida di veri professionisti soprattutto di regia, è una esperienza affascinante e formativa, prima di tutto per uno scienziato. Si parte da una idea, la si condivide, la si butta giù rozzamente, la si trasforma in uno script (nel mio caso c’era già un mio libro, è stato più facile, se no per questo ci sono bravissimi scrittori) e poi si immagina sceneggiatura, location, ritmi, presenze in scena e molto altro, con un lavoro di squadra multidimensionale e coinvolgente.
Una esperienza impegnativa ma molto creativa, nella quale bisogna credere. Perché se non ci credi, poi si vede. Certo, come per la scrittura di libri di divulgazione scientifica, la comunicazione della scienza in tv richiede un produttore (invece di un editore) e poi tempo, energia, un po’ di risorse (non molte) e volontà di dare fiducia ai professionisti del campo. Libri e programmi si possono abbinare (lo avevo fatto per SKY nel 2011 e 2012 con due libri precedenti), e allora parte del lavoro è fatto, oppure si può cambiare l’ordine dei fattori, e fare prima il programma col suo script e poi il libro: il prodotto non cambia. L’importante, mi sembra, da un lato è di non lasciar cadere il messaggio di apertura che viene dalla nostra emittente pubblica, dall’altro portarci, come comunità scientifica, ai livelli dei grandi paesi europei in questo campo.
La BBC, indiscussa maestra, ha un canale BBC knowledge, molto seguito e per niente palloso.
Con due incontri pubblici dedicati, uno alla sede RAI di Milano il 9 dicembre ed uno il 18 dicembre proprio a Monte Mario, abbiamo verificato che la struttura RAI vuole provare a fare la sua parte e raccogliere la sfida lanciata dalla sua Presidente. C’erano membri della Commissione di vigilanza RAI, dirigenti, scienziati e grandi maestri come Piero Angela.
Adesso però tocca a noi, scienziati di ogni tipo, di Enti di ricerca, Università e industria, a farsi avanti con idee, voglia di fare e un po’ di mezzi. Non più un tabù palloso, né spettacolarismo becero e disinformato: la scienza deve andare in TV e tocca a tutti noi assicurarne la qualità.