fbpx L'Asia: il futuro è nella ricerca e nell'università | Scienza in rete

L'Asia: il futuro è nella ricerca e nell'università

Primary tabs

Read time: 4 mins

L’Asia è il “continente emergente” nell’economia della nuova globalizzazione. Da quasi venti anni le performance della Cina, dell’India e di una dozzina di altri stati localizzati nel sud-est sono, per intensità e continuità, senza precedenti. La crescita del sistema produttivo è stata accompagnata da uno sviluppo del sistema di ricerca e dell’alta educazione ancora più accelerata e tale da ridisegnare la “geografia della scienza”. Ormai l’Asia ospita la a maggioranza degli scienziati e degli ingegneri del pianeta e contende all’America il primato mondiale degli investimenti assoluti.

Ma la tensione allo sviluppo scientifico e culturale si è tutt’altro che esaurito. L’India, per esempio, ha in progetto di raddoppiare sia l’offerta di alta educazione sia l’intensità degli investimenti in ricerca e sviluppo entro il 2020. Per la ricerca il governo, come ha dichiarato nei giorni scorsi, vuole portare l’intensità degli investimenti dall’attuale 1% del Prodotto interno lordo (PIL) al 2%. Poiché l’economia indiana cresce a una velocità prossima al 10% annuo, significa che gli investimenti in ricerca cresceranno nei prossimi dieci anni a una velocità prossima al 20% annuo.

Nel campo dell’alta educazione il governo indiano intende passare dalle attuali 500 università e dai 26.000 college, dove può studiare solo il 12% della popolazione giovanile eleggibile, ad almeno 800 o 900 università e a 40.000/45.000 college, dove far studiare almeno un quarto della popolazione giovanile eleggibile. L’India vuole più laureati per sostenere la sua economia.

L’intenzione è recuperare il gap nei confronti di Cina e Stati Uniti: i due paesi di riferimento. Il governo, per esempio, giudica insoddisfacente il numero attuale di giovani che conseguono il PhD in un anno: 8.900. Un terzo rispetto a Usa e Cina.

Ma non è solo un problema di quantità. L’India intende aumentare anche la qualità dell’offerta educativa. Il sistema universitario di quell’immenso soffre, secondo il governo, di tre gravi problemi.  Primo: sono troppi i giovani poveri che restano fuori dalle università: è un’ingiustizia sociale non più sostenibile, ma – sostengono a Nuova Delhi – è anche uno spreco di risorse umane non più tollerabile.

Secondo: sono pochi i giovani laureati in materie scientifiche che accettano di restare nelle università pubbliche per fare ricerca. La gran parte preferisce andare a lavorare nelle imprese private, attratte da stipendi molto più alti e da una domanda impetuosa: le imprese straniere che hanno aperto un centro di ricerca in India sono salite dalle 100 nel 2003 alle 750 di oggi.

Terzo: l’offerta educativa non è sempre all’altezza. Soprattutto nei piccoli college privati la qualità lascia molto a desiderare. In quei piccoli college basta pagare per conseguire un titolo che vale poco. Occorre invece creare centri che raggiungano i più alti standard internazionali di offerta e di rigore nella selezione. Bisogna imitare, dicono a Nuova Delhi, l’Indian Institute of Technology (IIT): che apre le porte dei suoi 15 campus ogni anno solo al meglio del meglio: 6.000 studenti su 300.000 che fanno richiesta. Una capacità selettiva (solo il 2%) maggiore persino di quella di Harvard (7%).

Nella stessa ottica si muove la piccola Singapore. Che nei prossimi 5 anni intende aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo al ritmo del 20% annuo, in modo da passare dall’attuale intensità del 2,3% sul Pil al 3,5%. Di cui almeno l’1% dovrà essere investimento pubblico. Singapore vuole entrare nel novero dei dieci paesi al mondo con la maggiore intensità di ricerca. Perché è convinto che solo così potrà risultare competitivo nell’economia globale della conoscenza. Ma anche nel piccolo stato sono convinti che ricerca e alta educazione devono andare di pari passo, anche nella ricerca dell’eccellenza. Per questo la Fondazione Nazionale della Ricerca e il Ministero dell’Educazione puntano a rendere l’Università Nazionale di Singapore (NUS) l’Università Tecnologica Nanyang due centri di valore assoluto, capace di attrarre da tutto il mondo il meglio dei docenti e dei ricercatori.

In Cina, infine. Inutile ricordare che il Dragone ha realizzato negli ultimi venti anni le più grandi performance in campo economico (crescita media del PIL del 10% annuo), scientifico (crescita media degli investimenti in R&S del 20% annuo; un numero di ricercatori che nell’ultimo decennio è passato da 0,4 a 1,4 milioni) e nell’alta educazione (nel 1998 i laureati in Cina erano stati 0,8 milioni; nel 2005 erano saliti a 3,0 milioni; dal 1998 gli studenti universitari cinesi sono cresciuti al ritmo del 30% annuo; oggi in Cina sono iscritti all’università più del 25% della popolazione giovanile eleggibile). Ma, pur confermando la crescita quantitativa – Pechino vuole raggiungere il 3,0% degli investimenti in R&S entro il 2020 – ora i Cinesi puntano anche alla qualità. Lo conferma l’inaugurazione delle attività, in questi giorni, dell’Università meridionale della scienza e della tecnologia (SUSTC), che ha una serie di obiettivi precisi: arruolare i giovani più bravi e creativi, avere una dimensione internazionale; attrarre studenti e docenti da ogni parte del mondo. Per contribuire a fare della Cina il leader al mondo nel campo dell’alta educazione.  

Non sappiamo se India, Singapore e Cina riusciranno a raggiungere questi ambiziosi obiettivi. Verifichiamo però che tutti i tre paesi asiatici pensano che il loro futuro passa per la ricerca e per l’università. E agiscono di conseguenza.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Trump ora è un serio problema per il clima

persona con maschera di trump

Cosa succede con il ritorno di Trump per le azioni contro il cambiamento climatico? Abbiamo qui cercato di raccogliere dati, analisi e osservazioni - tra giornali e think tank internazionali - per capire cosa ci aspetta, sulla base di quanto il neopresidente ha già fatto o detto. Iniziamo a rimboccarci le maniche.

Foto di Darren Halstead su Unsplash

Donald Trump, da gennaio 2025, sarà il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America (e il primo che lo farà da pregiudicato). Il Senato passa a maggioranza repubblicana così come, probabilmente, lo sarà la Camera. I risultati sono perfettamente in linea con i sondaggi, secondo i quali, soprattutto nelle ultime settimane, era evidente il sostanziale pareggio negli stati in bilico tra i due candidati.