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L’eco del bosone di Higgs anche al Tevatron

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Forse l'ha scovato anche il Tevatron, poco prima di chiudere i battenti. Forse anche il grande acceleratore americano ha sentito l’eco del «bosone di Higgs», prima di cadere definitivamente, lo scorso mese di settembre, sotto la falce dei tagli di bilancio. L’annuncio è stato dato ieri a La Thuile, in Val D'Aosta, nel corso dei Rencontres de Moriond, dai portavoce di Cdf e Dzero, due gruppi di fisici che lavoravano al Tevatron e che stanno continuando a studiare i dati raccolti. «Abbiamo misurato un “eccesso di eventi” nella regione dei 125 GeV (tra 115 e 135 GeV, per la precisione)» sostengono i reduci del Tevatron. I dati non sono statisticamente significativi. Ma sono compatibili con la presenza del «bosone che regala la massa all’universo» e del tutto congruenti con i dati preliminari resi pubblici lo scorso mese di dicembre al CERN di Ginevra, da Fabiola Gianotti e Guido Tonelli, che dirigono rispettivamente gli esperimenti ATLAS e CMS condotti sul Large Hadron Collider, che non solo è l’acceleratore più potente mai costruito, ma anche l’unico operativo in questo momento in grado di confermare o di smentire la scoperta dell’inafferrabile particella. Il «bosone di Higgs» è, a sua volta, l’unica preda, prevista dal Modello Standard delle Alte Energie, che ancora sfugge (o, forse, sfuggiva) alla cattura da parte dei “cacciatori di particelle”.

Meno di tre mesi fa, come abbiamo raccontato su Scienzainrete, i leader italiani di ATLAS e CMS resero pubblici i risultati – preliminari e niente affatto conclusivi – di raccolta dati con il grande acceleratore ginevrino. C’è un eccesso di eventi in una regione di massa compresa tra 124 e 126 GeV e, dunque, pari a 130 volte la massa del protone. Fabiola Gianotti e Guido Tonelli, come lo stesso direttore del CERN,  chiarirono che i dati non provano in maniera definitiva l’esistenza del bosone. Per il semplice motivo che la particella non può essere catturata direttamente: la sua effimera esistenza può essere desunta solo dalla presenza dei suoi più stabili “prodotti di decadimento”. In particolare ATLAS e CMS hanno rilevato un eccesso di fotoni in quel range di energia. L’eccesso è compatibile con la presenza del bosone di Higgs. Ma la statistica è ancora troppo scarna per poter affermare con certezza che l’eccesso è dovuto al decadimento del bosone. L’eccesso di eventi rilevato  è solo un forte indizio, non una prova definitiva. Ora due gruppi affermano di aver rilevato in quella medesima regione un eccesso di eventi. Anche loro riconoscono che la statistica è bassa e che, dunque, la misura costituisce solo un indizio, non certo una prova. Ma si tratta di un indizio nuovo e indipendente. I gruppi Cdf e Dzero del Tevatron misurano infatti la presenza in eccesso di altri sottoprodotti del decadimento del bosone di Higgs, il quark bottom e la sua antiparticella (l’antibottom). Due indizi fanno una prova? No. Non ancora, almeno. Occorre ancora uno sfoggio di prudenza, prima di dare per conclusa una delle battuta di caccia più lunghe e importanti nella storia della fisica delle alte energie. I motivi sono due, oltre quelli della statistica insufficiente. Il primo è epistemologico, il secondo sociologico.  Se il «bosone di Higgs» esiste davvero allora i fisici chiuderebbero un cerchio teorico, quello del Modello Standard, e fornirebbero una nuova dimostrazione della “potenza della teoria”. Lo scozzese Peter Higgs, infatti, ha previsto l’esistenza di un nuovo campo quantistico – il “campo di Higgs – in grado di spiegare perché la gran parte delle particelle nel nostro universo hanno una massa. Il “campo di Higgs” ha consentito di elaborare una teoria di grande successo, il Modello Standard delle Alte Energie, in grado di fornire una descrizione economica dello zoo delle particelle che popolano il nostro universo e di spiegare il comportamento di almeno tre delle quattro interazioni fondamentali della natura: la debole, la forte e l’elettromagnetica. Ha un solo, grande difetto. La sua reale esistenza non è stata mai provata. E può essere provata solo se” si scopre Nettuno”, ovvero se si dimostra l’esistenza del “bosone di Higgs”. Se la particella verrà scoperta allora il Modello Standard delle Alte Energie può essere considerato completo (e i fisici possono passare con tranquillità a una nuova fase dei loro studi sui costituenti ultimi dell’universo). Ma se l’esistenza non venisse provata  allora bisognerebbe rimettere mano all’intero quadro  teorico. Ecco perché bisogna provare l’esistenza del bosone «al di là di ogni ragionevole dubbio».

Non bastano gli indizi. Tanto più se sono forniti da un lato da una macchina, LHC, che è entrata in funzione da poco, ma ha già necessità di dimostrare che i denari necessari per costruirla sono stati ben spesi; e dall’altra da una macchina, il Tevatron, ha cessato di funzionare ma vuole ancora cercare di proporre il suo «canto del cigno». La necessaria prudenza non metterà alla prova più di tanto la nostra pazienza. Nei prossimi mesi LHC raccoglierà abbastanza dati per confermare o smentire la presenza del «bosone di Higgs» intorno a 125 GeV. O in altre regioni dello spettro energetico “spazzato” dal macchina più potente che l’uomo abbia mai costruito. 


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