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Libertà di ricerca e responsabilità

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La libertà è un elemento fondamentale della ricerca. E' connaturata alla scienza e all'indagine scientifica. La nostra stessa Costituzione recita, all'articolo 33: "L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento". Proprio la "libertà accademica" è il tema di un documento diffuso a fine 2010 da LERU, la Lega Europea delle Università di Ricerca che riunisce 22 Università europee tra le più prestigiose e gloriose come Cambridge, Oxford, Lovanio (http://www.leru.org), a elevata intensità di ricerca (vedi documento correlato). L'Italia è rappresentata all'interno di LERU dall'Università degli Studi di Milano.

Ma cosa significa "libertà accademica", oggi, nel XXI secolo e all'alba del Terzo Millennio? Significa, innanzitutto, responsabilità. Nella ricerca scientifica non può esistere libertà senza responsabilità. LERU sviluppa la propria riflessione proprio su questo concetto: responsabilità delle proprie azioni, che significa trasparenza e rendere conto di ciò che si fa, ossia di come si utilizza la libertà. Diversamente da quanto spesso si intende, "la libertà non è uno spazio libero", come cantava Giorgio Gaber. Liberta è anche partecipazione, ai problemi e alle responsabilità della società.

Nel settore biomedico, in particolare, libertà di ricerca significa trasparenza, responsabilità, disponibilità dei dati generati nell'interesse comune, per la salute di tutti. Ma significa anche ricerca clinica indipendente. E' essenziale, infatti, che accanto alla ricerca sponsorizzata e sostenuta da interessi industriali e farmaceutici - peraltro assolutamente legittimi - vi sia una forte ricerca, transazionale e clinica, indipendente. Un elemento, questo,fondamentale. La ricerca clinica infatti è estremamente costosa, e non può esservi libertà nell'interesse dei pazienti se il sistema di ricerca pubblico, italiano ed europeo, non sostiene questo tipo di ricerca indipendente con finanziamenti adeguati a suoi costi reali. 

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Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.