Nuovo
Senato, nuova Repubblica. Il 9 agosto è passata in prima lettura la riforma
costituzionale che vuole ridisegnare regole e funzioni del Senato, con 100
membri, cooptati dai consigli regionali, tranne i 5 senatori (non più a vita)
nominati dal Presidente della Repubblica. Superato quindi il bicameralismo
perfetto, con un Senato che diventa espressione dei poteri territoriali ma
svuotato di funzioni legislative.
Che fine ha fatto l’idea del “Senato delle
competenze”, promossa dal senatore Elena Cattaneo?
Genesi di un'idea controcorrente
Un’idea
controversa, ma stimolante e innovativa, che, prendendo atto della dismissione
di gran parte delle funzioni legislative del Senato cercava di ripensare le sue
funzioni in termini di alte competenze scientifiche e legate alla tecnologia,
alla ricerca, all’innovazione tipica di tante attività umane, quindi come
possibile riferimento tecnico per inchieste, analisi e approfondimenti
funzionali alla attività legislativa dell’altra camera.
Una sorta di House of Lords riletta e
adattata alla situazione italiana che lavorasse insieme ai politici che pure
dovevano trovare più alta espressione in quella camera.
L’idea promossa per la
prima volta lo scorso 8 dicembre dalle pagine culturali del Il Sole 24 Ore diretto da Armando
Massarenti, rilanciata e fatta propria da Cattaneo e da altri
ricercatori e intellettuali, tra loro anche ricercatori del Gruppo 2003,
dell’Accademia dei Lincei e autori di Scienza in Rete, ha avuto molti
sostegni (da Scalfari a Ainis) ma anche
oppositori.
Forse il punto più difficile da digerire era il carattere elitario,
non legato a una investitura popolare tramite elezioni, che la proposta
inevitabilmente prendeva.
Cattaneo ha cercato
di tradurre la proposta nel quadro della discussione a tappe forzate che la
riforma del Senato ha preso fra luglio e agosto presentando prima un
emendamento che vincolava il presidente della Repubblica a scegliere i 21
senatori di nomina presidenziale da una lista prodotta dall’Accademia dei Lincei.
Poi, visto che i 21 grazie a un fuoco di fila (in primis dell’attivissimo
relatore Calderoli) erano passati a zero e poi 5, l’emendamento è stato
ripresentato per questa esigua minoranza. Ma nemmeno questo emendamento è
passato, affondato anche del PD. Eppure si trattava di supportare la decisione
del futuro Presidente della Repubblica attraverso l’espressione di un parere
(non vincolante) che evidenziasse le caratteristiche di merito dei nominandi.
Magari anche per cercare di ridurre il rischio che d’ora in poi questi 5
senatori di nomina presidenziale entrino nella disponibilità della maggioranza
di turno, che ora sembra essere quella che sceglierà il Capo dello Stato.
E’
tramontato così - almeno per ora - il sogno illuminista di un Senato, casa delle
competenze, abitato da quelle "personalità abituate a disegnare le
frontiere del mondo”, come suggestivamente è stato detto. Era un’idea giusta?
Era una ipotesi percorribile, quella del Senato delle competenze?
In linea
teorica non si vede perché no. Nessuno può negare che
l’attività legislativa, e in generale l’attività politica, necessita sempre più
di competenze scientifiche e tecniche un tempo impensabili. Si pensi al caso
Stamina, alla fecondazione eterologa, agli Ogm, alla sperimentazione animale, e
ai molti altri temi per i quali il Parlamento e la magistratura, in difetto di
preparazione scientifica, hanno deliberato o sentenziato spesso a vanvera.
Elena Cattaneo
prima di altri, e con l’entusiasmo che la contraddistingue, ha messo quindi il
dito sulla piaga, ha da subito interpretato il suo mandato di senatore a vita
organizzando una serie di incontri di alto livello scientifico dentro la aule
del Senato proprio su questi temi caldi.
Competenze coessenziali alla deliberazione pubblica
Ma i convegni non bastano e le
audizioni non possono sostituirsi alle competenze. Serve una classe politica
consapevole delle sfide che dovrà affrontare proprio su questi temi, che sappia
accogliere il nuovo e discutere partendo dai fatti, che prenda sul serio la
centralità della cultura per il progresso del paese (si veda il manifesto del Il Sole24 Ore), e che si attrezzi anche
nei suoi ranghi e nelle sue aule con le necessarie conoscenze per evitare di
dipendere troppo passivamente dalle opinioni e confrontandosi invece con i
“professori” e gli esperti che sembra guardare con disprezzo ma alle cui
competenze è da folli rinunciare.
Allo stesso tempo è importante che gli
operatori della scienza, della tecnologia e dell’innovazione trovino un nuovo
modo per interagire con la politica e riscoprano quel senso comune necessario
per costruire fiducia e percorsi congiunti per quanto difficili siano.
Al
giorno d’oggi stona profondamente l’idea di una politica che, per il
fatto di essere stata “eletta”, si sente di bastare a se stessa in quanto
espressione del popolo e di servirsi, laddove serva, dei responsi di accademici
assortiti che sfilano durante le audizioni per risolvere i problemi tecnici
connessi a molte leggi. Come se questi fossero problemi marginali ed estranei
alla vera sostanza deliberativa che promana dalla funzione stessa dell’eletto.
Il mondo è cambiato ed è sempre più complesso: le competenze devono essere
interne e coessenziali alla politica, non ridotte al rango di consulenza episodica,
le competenze sono nel cuore stesso delle deliberazioni, ne orientano il senso
e l’etica. Senza voler tornare ai re filosofi di Platone, il Senato delle
competenze pareva a molti il giusto inizio di un percorso di riqualificazione
culturale della politica, soprattutto, ma non solo, di taglio scientifico. Come
far coesistere conoscenza e rappresentanza?
Se lo stanno chiedendo in molti (nel nostro sito fra gli altri Giovanni Boniolo), preoccupati del fatto che i processi partecipativi non risultino svuotati
di competenze e funzionino indipendentemente dalle migliori conoscenze
disponibili.
Forse il ricorso all’Accademia dei
Lincei e alle sue classi riunite non era la soluzione ideale. Se è per questo,
anche l’idea di riservare “gli scienziati” alla rosa del presidente della
Repubblica era un compromesso. D’altra parte la stessa Cattaneo si aspettava
con questi emendamenti non tanto di dare una soluzione al problema della…
incompetenza della politica, ma di avviare quantomeno un dibattito. C’è stato,
questo dibattito? Di fatto no. Dagli scranni del Senato si sono più che altro
levate invettive anti-intellettuali, anti-sessantenni, anti-accademici. La
disciplina di partito, la fretta, la superficialità, la facondia avvocatesca
dei più hanno fatto il resto, schivando i paletti di una discussione troppo
impegnativa, figuriamoci d’agosto…
E’
stata un’occasione perduta quella del Senato delle competenze, che però resta
esattamente lì dove è stata posta e lasciata cadere, nei luoghi della politica.
“Ci voleva meno fretta” ha commentato in uno dei suoi passaggi via via più
scorati Elena Cattaneo e lo ha ribadito con il suo intervento in Senato e
successivamente sulla La Stampa. E in questi giorni sentire Renzi vantare quella fretta nelle riforme con le parole "nemmeno nelle dittature le riforme andrebbero così veloci" la dice lunga.
Dichiarazione di voto del senatore Elena Cattaneo
Quelli dell'articolo 9
La stessa mancanza
di fretta che parecchi anni prima i padri costituenti avevano dedicato alla
discussione degli articoli della Costituzione della Repubblica (1946-47). In
particolare giova ricordare la discussione sull’articolo 9 della Costituzione,
che a ben guardare giustifica il richiamo alle competenze. E che recita: "La Repubblica
promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela
il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Cultura,
scienza, arte, paesaggio, stretti in uno stesso, meraviglioso articolo, che è
passato attraverso 11 riformulazioni in un serrato dibattito che ha visto
protagonisti i membri della prima sottocommissione fra i quali Giusepe
Dossetti, Giorgio La Pira, Aldo Moro, Palmiro Togliatti, Nilde Iotti, Emilio
Lussu, Tristano Codignola e Concetto Marchesi (peraltro confortati dai pareri
dell’Accademia dei Lincei).
E dove l’inserimento - nella radice stessa della
Costituzione - del richiamo alla scienza e alla tecnica venne aggiunto con un
emendamento firmato dagli universitari Firrao e Colonnetti (pure presidente CNR), e dal padre delle
esplorazioni polari Umberto Nobile (in quota PCI).
C’è chi anche allora non
capì il senso di quell'articolo, reputando scontato e automatico il rispetto dei
valori invocati, volendoli peraltro relegare a un ambito regionale. Fu allora
in particolare il latinista Concetto Marchesi a difendere a spada tratta il
senso di quei principi per nulla scontati, allora, come adesso.
Allora
capirono. E adesso? Come riproporre la questione delle competenze
nella politica dopo questa prima occasione perduta? E’ una domanda che
poniamo anche ai nostri lettori.
Testi degli interventi del senatore Elena Cattaneo durante il dibattito sulla riforma del Senato
Primo intervento generale su Riforma del Senato
Secondo intervento su DL Competitivita' questione comma Ogm
Terzo intervento su illustrazione emendamenti sulle nomine
presidenziali