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Confini planetari, le soglie che non possiamo (più) superare

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Planetary boundaries

di Valentina Tudisca

Quali sono le condizioni del pianeta che l’umanità non deve violare per evitare il rischio di cambiamenti ambientali globali catastrofici? E’ a questa domanda che il concetto di “confine planetario”, introdotto nel 2009 su Nature da un gruppo di esperti di scienze del sistema Terra e della sostenibilità guidato da Johan Rockström (vedi allegato), ha l’ambizione di rispondere, per definire uno “spazio operativo sicuro” in cui poter agire senza compromettere il futuro del pianeta.
Con la Rivoluzione Industriale l’uomo è diventato per la prima volta il principale agente di cambiamento del sistema Terra, e questo starebbe producendo una transizione tra due ere geologiche: l’Olocene, cominciata circa 10.000 anni fa, e l’Antropocene. Se la prima, grazie a condizioni ambientali stabili, ha consentito la nascita dell’agricoltura e lo sviluppo delle più importanti civilità, la seconda si prospetta come teatro di cambiamenti climatici improvvisi e irreversibili su scala planetaria, che potrebbero mettere a rischio la nostra stessa sopravvivenza (o portare a un pesante regresso delle nostre condizioni di vita).
Questo scenario, secondo i ricercatori, si presenterà se verranno oltrepassate certe “soglie” caratteristiche di nove processi-chiave legati alla capacità del sistema Terra di autoregolarsi, su cui l’umanità ha potere di intervenire: cambiamento climatico, perdita di biodiversità, variazione del ciclo biogeochimico dell’azoto e del fosforo, acidificazione degli oceani, consumo di suolo e di acqua, riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, diffusione di aerosol in atmosfera e inquinamento chimico. Per ognuno di questi processi è stata individuata una variabile di controllo (ad esempio la concentrazione di CO2 in atmosfera per il cambiamento climatico) che non dovrebbe superare un certo valore, pena la destabilizzazione del sistema: se la soglia viene superata, infatti, la relazione tra variabile di controllo e processo associato diventa non-lineare, così che un cambiamento minimo della prima è in grado di produrre un cambiamento catastrofico nel secondo.
Per l’impossibilità di determinare le soglie con precisione si è stabilito un intervallo di incertezza entro cui collocarle. I relativi “confini planetari” - soltanto sette dei quali sono stati quantificati - sono definiti come il limite inferiore di tali intervalli. Il loro insieme circoscrive uno “spazio operativo sicuro per l’umanità”: superarli significa entrare in una zona di incertezza e di pericolo (vedi qui la Ted Conference di John Rockstrom sui planetary boundaries).

Si tratta di stime preliminari, visto che la scienza dei sistemi complessi non è ancora in grado di descrivere un pianeta con processi interdipendenti (superare un confine può spostarne altri e modificare così il nostro spazio di sicurezza).
Tuttavia, il concetto di “confine planetario” costituisce un primo sforzo di quantificare l’urgenza di individuare percorsi sostenibili (tre confini sono già stati superati, vedi sotto), rivolto a governi  locali e globali e all’intera società civile, assuefatti a un modello di sviluppo sociale ed economico che continua a ignorare i rischi della non-sostenibilità ambientale.

Fig.1 - Variabile di risposta (uno dei processi biofisici del sistema Terra) in funzione della variabile di controllo (quello che più lo influenza): il confine planetario è il limite inferiore dell’intervallo di incertezza in cui è posizionato il valore di soglia, superato il quale l’andamento diventa non-lineare.

Fig.2 - Il poligono interno (verde) rappresenta lo spazio operativo sicuro delimitato dai confini planetari, tre dei quali sono stati già superati (perdita di biodiversità, ciclo biogeochimico dell’azoto e cambiamento climatico). Le linee rappresentano l’evoluzione quantitativa delle variabili di controllo dai livelli pre-industriali a oggi per sette confini planetari.

I sei confini inviolati

di Milly Barba

Individuare il valore-limite dei confini planetari non è un'impresa facile.

Le difficoltà di definizione derivano dall’impossibilità di stimare con esattezza gli effetti dell’uomo sul pianeta e dalla forte interazione tra i confini. Il superamento attuale di tre dei nove confini stabiliti, infatti, incide sugli altri (l’utilizzo globale dell’acqua e lo sfruttamento del suolo, tra gli altri già citati).  

L’acidificazione degli oceani

Gli oceani sono responsabili dell'assorbimento del 25% delle emissioni di CO2. Il processo di rimozione prevede la dissoluzione in acqua di anidride carbonica. Tuttavia, le immissioni crescenti di CO2 hanno provocato un abbassamento del pH delle acque di superficie, mettendo in pericolo la produzione di argonite e di altre forme di carbonato di calcio utili per creare gusci o scheletri con cui molti organismi marini si proteggono, a partire dalla barriere coralline. L’argonite, infatti, a causa dell’acidità, si corroderebbe, privandoli di strutture necessarie per la sopravvivenza. Per prevenire effetti irreversibili, i ricercatori hanno ipotizzato che la saturazione di argonite della superficie oceanica non dovrebbe scendere sotto l’80%.  

La riduzione della fascia d’ozono nella stratosfera

L’ozono stratosferico è il filtro delle radiazioni ultraviolette, nocive per l'uomo e gli ecosistemi. La combinazione di emissioni antropiche e di nubi fredde genera un assottigliamento della stratosfera antartica durante la primavera polare, con effetti negativi per l’uomo. Il buco dell’ozono polare costituisce un esempio di soglia da non raggiungere. Già in un recente passato si era formato un buco nello strato di ozono presente sopra la regione artica a causa di sostanze come i clorofluorocarburi usati per frigoriferi e altri impieghi. La scoperta aveva portato alla messa al bando di queste ostanze a cui aveva fatto seguito una riduzione del buco sopra la regione polare. L'assottigliamento della fascia di ozono non è però definitivamente scongiurata, e per questo è stata posta una soglia di attenzione equivalente a una riduzione massima del 5%. 

L’utilizzo globale dell’acqua

La crescente erosione delle risorse idriche mette in pericolo la sopravvivenza umana. Le manipolazioni globali del ciclo d'acqua dolce, inoltre, influiscono sulla biodiversità, minando l’equilibrio degli ecosistemi. I rischi principali non sono legati solo all’esaurimento della cosiddetta blue water. La perdita dell’umidità del suolo (green water), causata dalla deforestazione, minaccia la produzione di biomassa terrestre e la capacità di smaltimento del carbonio. La stretta relazione tra acqua e terra ha reso difficile stabilire il confine planetario, che prevede un limite di ritiro di 4000 kmᶟ per la blue water e di 5000 kmᶟ per la green water. 

I cambiamenti nell’utilizzo del suolo

L'espanzione delle pratiche agricole ha cambiato l’assetto globale del Pianeta, concorrendo alla perdita di biodiversità, ai mutamenti climatici e alle modifiche del ciclo idrologico. La stretta relazione con gli altri boundaries è stata dunque determinante per stabilire il limite planetario: solo il 15% della superficie terrestre dovrebbe essere utilizzata per l'agricoltura, consentendo un’espansione del 3% rispetto alle condizioni attuali.  

La diffusione di aerosol atmosferici

Gli aerosol atmosferici sono costituiti da particelle di natura organica e inorganica. L’attività industriale ne ha provocato il raddoppio della concentrazione globale, incidendo negativamente sul clima e sulla salute umana. La complessità di queste particelle, nonché la stretta relazione con le correnti monsoniche, rendono impossibile per ora determinare un valore-limite sicuro. 

L’inquinamento dovuto a prodotti chimici antropogenici

L’inquinamento chimico riguarda principalmente elementi di tipo radioattivo e metalli pesanti immessi nell’ambiente dall’uomo. Questo tipo di inquinamento, oltre ad avere un impatto nocivo sui viventi, agisce nel tempo, influenzando i boundaries della biodiversità e del cambiamento climatico. A causa dell’elevata eterogeneità delle sostanze presenti, risulta impossibile stabilire un limite planetario. La difficoltà nasce dall’assenza di dati sulla tossicità di alcune particelle e dall’incapacità di prevedere gli effetti combinati di più agenti chimici. 

Soglie già superate

di Michela Perrone

È tutto collegato, nella teoria dei “Planetary Boundaries”. Se oggi tre di questi sono già stati varcati (cambiamento climatico, perdita di biodiversità e ciclo dell’azoto), gli altri sono a rischio, proprio perché strettamente interconnessi.

Ad esempio, secondo uno studio apparso su Environmental Reseach Letters di Stephen Carpenter (Università di Wisconsin-Madison) ed Elena Bennett (McGill University) sarebbe stato superato anche il valore per il ciclo del fosforo. Secondo gli studiosi americani, infatti, il team di Rockström non avrebbe tenuto in considerazione gli ecosistemi di acqua dolce che, se sommati agli ambienti marini, sposterebbero molto più avanti del confine previsto la quantità di fosforo presente nelle acque. Questo si traduce in un proliferare di alghe che inquinano fiumi, laghi e mari e che mettono a repentaglio la fauna ittica.

Tra le soglie già superate, anche per il gruppo di Rockström ci sono invece quella del cambiamento climatico, della perdita della biodiversità e del ciclo dell’azoto. Il primo si calcola tenendo conto della quantità di CO2 presente nell’aria (misurata in ppm, parti per milione) e il forcing radioattivo, cioè la differenza tra l’energia assorbita dalla terra e quella rilasciata nello spazio (watt per metro quadrato). Nel novembre 2012 il primo parametro era di 392,65 ppm invece dei 350 auspicati, mentre il secondo superava 1,5 w/m2 (la soglia è 1).
La perdita di biodiversità si calcola sulla base del tasso di estinzione, cioè il numero annuo di specie estinte per milione. Oggi questo valore è oltre 100 volte quello stabilito: 10. Per la soglia del ciclo dell’azoto, infine, si considera la quantità rimossa dall’atmosfera per utilizzo umano. Questo valore è stimato in oltre 120 milioni di tonnellate, mentre la cifra accettabile dovrebbe essere 35.
Il superamento di queste soglie rischia di diventare una concausa per l’abbattimento degli altri confini. I valori di questi ultimi dipendono infatti in modo variabile dagli stessi parametri.

Voci fuori dal coro: “Planetary Boundaries” e mondo scientifico

di Rita Occhipinti

Il mondo scientifico ha accolto la teoria dei Planetary Boundaries con molto interesse, ma non all’unisono. Esistono voci discordanti che pongono obiezioni di tipo scientifico o economico-politico. 

Il Breakthrough Institute di Oakland, in California, in un report di Giugno 2012 (1)critica l’assunzione che l’Olocene sia, fatta eccezione per il clima, l’unica età auspicabile per l’uomo. L’industrializzazione ha modificato lo stato delle cose e i parametri ottimali potrebbero adesso essere diversi. Il pianeta tenderebbe a una nuova era umana: l’antropocene. Viene contestata anche la scala di riferimento: non tutti i boundaries agiscono su scale confrontabili. Nel report se ne individuano solo 3 dotati di soglie critiche globali. Gli altri agirebbero su scala regionale e un effetto totale si avrebbe solo in caso di concomitanza. Su Nature dello stesso mese concorda Simon Lewis (Università di Leeds, UK): “cambiamento climatico, acidificazione degli oceani e assottigliamento della fascia d’ozono sono processi sistemici, gli altri sono processi aggregati”. E aggiunge una seconda distinzione, tra soglia e limite fisso. Per esempio, i fertilizzanti vengono prodotti dal fosfato delle rocce, che si forma in tempi geologici: “when it is gone, it is gone”.(2) 

Non è tutto. Politica ed economia sono intimamente legate al tema, ed è su questo fronte che vengono mosse altre riflessioni. Peter Brewer (Aquarium Research Institute, California) su Nature (3) avverte che non basta individuare i confini. Occorrono azioni politiche condivise, o si rischia che la tutela del “safe operating space” gravi sui soliti noti. I fertilizzanti garantiscono grandi quantità di cibo  e il cibo – scrive Brewer – “non è un optional”. Le responsabilità non sono equipartite e c’è il rischio che fissare limiti all’uso delle risorse aggiunga al danno, nei paesi in via di sviluppo, la beffa. Adele Morris (4) (Climate and Energy Economics Project, Washington) propone azioni politiche e sanzioni economiche, purché si  preservi il consenso.

I confini planetari sono  attraenti da un punto di vista politico e potenti da un punto di vista comunicativo, e sempre più spesso appaiono nel dibattito internazionale. Durante Rio+20, l'ultimo summit delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, si è discusso in termini di  planetary boundaries, e al simposio dei Nobel a Stoccolma sulla sostenibilità globale (2011) la missione dichiarata è stata “combattere i cambiamenti climatici e rispettare il range degli altri confini planetari”. L’idea è, per ammissione stessa dei promotori, da completare, perfezionare e tradurre in azioni corali. Le critiche, specie quelle argute, arricchiscono il dibattito e hanno questo “ingrato” compito.

Riferimenti:

(1) Shellenberger, Nordhaus, BlomqvistThe Planetary Boundaries Hypothesis: a review of the evidence” 
(2) Simon Lewis, We must set planetary boundaries wisely
(3) Peter Brewer, “Planetary Boundaries:consider all consequences” 
(4) McKibbin, Morris, Wilcoxen, "The Potential Role of a Carnon Tax in U.S. Fiscal Reform"


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