fbpx Non fermate quel treno! | Scienza in rete

Non fermate quel treno!

Primary tabs

Read time: 7 mins

Non bastano gli appelli contro la proposta di mettere un tetto alla distribuzione dei fondi provenienti dal 5 per mille. Per opporsi alla legge per la stabilità, prima che sia approvata definitivamente, è bene che si sappia a che cosa si sta rinunciando. L’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC), per esempio, che, insieme con la sua fondazione (FIRC), è in testa alla classifica degli enti beneficiati dalle firme degli italiani, ha utilizzato 120 milioni di euro provenienti dalle tasse degli italiani per finanziare dieci progetti di un Programma di Oncologia Clinica Molecolare che promette in cinque anni di fare concretamente la differenza nella cura del cancro.

I primi 5 gruppi di ricerca sono stati finanziati ad aprile; gli altri 5, individuati dalla stessa commissione di esperti internazionali, in maniera completamente trasparente, rigorosa e al riparo da qualunque conflitto di interesse, possono cominciare a lavorare adesso  che i fondi promessi dai Ministeri competenti sono effettivamente disponibili.

A coordinare i nuovi progetti ci sono, in ordine alfabetico, Giannino Del Sal, del CIB di Trieste; Ruggero De Maria, dell’Istituto Superiore di Sanità; Pier Paolo Di Fiore, dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano; Alberto Mantovani, dell’Istituto Humanitas di Milano e Pierfrancesco Tassone, dell’Università Magna Grecia di Catanzaro. Una distribuzione geografica che non è stata voluta, visto che la valutazione dei progetti è stata compiuta in maniera anonima, ma che dimostra come la ricerca italiana non si concentri solo a Milano e Roma. E una scelta di persone che svela anche il rinnovamento in atto nel mondo della ricerca: dei cinque che si sono aggiudicati questa seconda fetta di finanziamenti, due hanno appena girato la boa dei 50 anni e due non l’hanno ancora raggiunta. Giovani, secondo i criteri italiani, per aver raggiunto un ruolo di così grande responsabilità: milioni di euro messi nelle loro mani dai cittadini perché affrontino, e possibilmente colpiscano con successo, il nemico comune, coordinando in sinergia il lavoro di decine di colleghi del loro e di altri centri.

«Rispetto ai finanziamenti che possiamo assegnare grazie alla nostra raccolta fondi annuale» ha spiegato Maria Ines Colnaghi, direttore scientifico di AIRC alla conferenza stampa di presentazione dei nuovi progetti, il 30 novembre a Milano, «quelli che derivano dal 5 per mille si distinguono per la loro consistenza, che consente progetti di ampio respiro, con la partecipazione di decine di centri e centinaia di studiosi di diverse discipline, e per la loro stabilità, grazie alla quale possiamo prevedere finanziamenti della durata di 5 anni».

Considerando anche i 5 progetti già approvati ad aprile, AIRC conta in questo intervallo di tempo di condurre una vera e propria manovra di accerchiamento al cancro: i diversi progetti affrontano diverse forme della malattia con tutti gli approcci più innovativi, per trasformare in vantaggi reali e tangibili per i malati la straordinaria mole di conoscenze acquisite negli ultimi anni sul DNA e sui meccanismi che regolano l’espressione dei diversi geni , ma anche per colpire il tumore mirando alle cellule staminali che ne alimentano la crescita e indagare meglio sulla possibilità di risvegliare le difese naturali contro l’invasione neoplastica.

Si è scelto un osso duro Giannino Del Sal, del Consorzio Interuniversitario per le Biotecnologie di Trieste, una malattia che già fin dal suo nome non promette niente di buono: il carcinoma della mammella triplo negativo, chiamato così perché non ha recettori per gli estrogeni, né per i progestinici, né HER2, un recettore per un fattore di crescita epiteliale, che da un lato rende il cancro più aggressivo, ma dall’altro offre un appiglio a cui attaccarsi per combatterlo.

«Un tumore al seno ogni cinque, invece, non presenta nessuno di questi tre possibili bersagli delle cure» spiega Del Sal. «Il nostro gruppo, e in particolare Stefano Piccolo a Padova, ha però recentemente individuato nuove firme molecolari di espressione genica e nuovi possibili bersagli della terapia anche in questo tumore. Sfruttando la multidisciplinarietà delle 10 diverse unità coinvolte nel progetto, che comprende dai biologi ai bioinformatici, dai farmacologi agli oncologi medici e ai patologi, contiamo, nel giro di 5 anni, di avvicinarci alla messa a punto di test preclinici anche per questa forma di cancro al seno che dà tanto facilmente metastasi e recidive».

Contro il tumore al seno è rivolto anche il progetto coordinato da Pier Paolo di Fiore, direttore del programma di medicina molecolare dell’Istituto europeo di oncologia di Milano, convinto che la chiave con cui si potrà combattere il cancro sono le sue staminali. Con un’efficace metafora lo studioso paragona il tumore a un alveare: «Ci sono moltissime api operaie» spiega, «ma sono sterili. Al contrario, l’unica ape regina è quella che dà origine a tutte le altre ed è in grado di alimentare l’alveare o riformarlo altrove, se il primo viene distrutto. Nella lotta contro il cancro finora abbiamo cercato di eliminare tutte le cellule tumorali dall’organismo. L’approccio di domani sarà ancora più mirato: non solo uccidere le cellule tumorali, risparmiando le sane, ma colpire, tra quelle neoplastiche, solo le pochissime capaci di alimentare il tumore e favorirne la  disseminazione, cioè le staminali».

Ma come individuarle? «Attualmente siamo gli unici in tutto il mondo che hanno messo a punto un sistema per purificare le cellule staminali dal tumore della mammella» dice con meritato orgoglio il ricercatore napoletano, che ha passato più di dieci anni nei laboratori del National Cancer Institute di Bethesda. «Abbiamo già osservato che dal loro numero dipende la prognosi della malattia; speriamo in questi cinque anni di sviluppare nuovi test diagnostici e soprattutto approcci terapeutici che mirino direttamente alle staminali, bloccando la fonte che alimenta la malattia».

Di staminali si occupa anche Ruggero De Maria, siciliano quarantacinquenne che dirige il Dipartimento di ematologia, oncologia e medicina molecolare dell’Istituto Superiore di sanità a Roma. «Il nostro progetto punta però su altri due big killer» spiega: «il tumore del colon e quello del polmone. Da entrambi oggi siamo in grado di prelevare cellule staminali in modo da riprodurre nel modello animale la malattia di quel determinato paziente, e sperimentare così quali possano essere, nel caso specifico, le terapie più efficaci».

Un altro giovane del sud, come De Maria, che deve tanto ad AIRC, è Pierfrancesco Tassone, di Catanzaro. Il percorso è sempre lo stesso: università in Italia, esperienza all’estero, rientro in patria.

«Oggi , dall’Università Magna Grecia di Catanzaro, coordino il lavoro di un’ottantina di ricercatori in sette centri » spiega Tassone, «con l’obiettivo di trasferire alla clinica, e in particolare alla cura del mieloma multiplo e della leucemia linfatica cronica, una delle più importanti scoperte degli ultimi anni, cioè il ruolo di interferenza che i microRNA possono svolgere nei meccanismi di regolazione dei geni». Per farlo occorrerà costruire dei nanovettori, particelle piccolissime su cui caricare questi nuovi farmaci perché siano portati nel cuore delle cellule tumorali, ma anche di quelle dell’ambiente circostante, affinché ostacolino la crescita del tumore.

«Non mi nascondo che ci saranno difficoltà anche da parte delle autorità regolatorie, quando si tratterà di approvare farmaci così innovativi» ammette lo studioso, che per questo tuttavia non si scoraggia.

All’ambiente che circonda il tumore guarda anche Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano: «Noi guardiamo all’altra faccia della luna» esordisce il ricercatore, uno degli scienziati italiani più citati al mondo. Il tumore infatti per crescere si crea una sorta di nicchia, in cui non intervengono neanche le cellule natural killer, che dovrebbero eliminare le cellule tumorali. «Il nostro compito è cercare di rieducarle a fare il loro dovere in vere e proprie cell factory, prima di iniettarle al malato di leucemia» spiega Mantovani, che va anche oltre: «Vogliamo sfruttare anche  molecole originali dell’immunità innata e dell’infiammazione, non solo contro i tumori, ma anche contro infezioni, come quelle fungine, che spesso sono fatali in questi malati dalle difese compromesse».

Il progetto , che coinvolge anche diversi centri pediatrici come l’Ospedale Bambin Gesù di Roma e il Gaslini di Genova, integra, come negli altri casi, strutture oncologiche diverse con competenze complementari.

Mantovani sente molto la responsabilità che gli è stata affidata: «Anche per questo ci siamo affidati a un piccolo advisory board internazionale che controlli le modalità e l’andamento del nostro lavoro» conclude, «come ulteriore garanzia nei confronti di AIRC e dei cittadini che attraverso l’associazione ci hanno conferito questi fondi e questo incarico».  

«Tutti sanno benissimo che la ricerca contro il cancro è una corsa contro il tempo» conclude Piero Sierra, presidente di AIRC, «e l’importanza di questi progetti, che partono grazie alla scelta dei cittadini, è sotto gli occhi di tutti. Il tetto previsto  dalla legge per la stabilità impedirebbe a questo treno di proseguire a ritmo così spedito (vedi grafico). Chi si prenderà la responsabilità di fermarlo?».

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP sei tu, economia

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo ed emergenti che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. Qualche decina di paesi, fra i quali le piccole isole, saranno inabitabili se non definitivamente sott’acqua se non si rimetteranno i limiti posti dall’Accordo di Parigi del 2015, cioè fermare il riscaldamento “ben sotto i 2°C, possibilmente. 1,5°C”, obiettivo possibile uscendo il più rapidamente possibile dalle fonti fossili.