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L’appello alla sostenibilità nell’anno della luce

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Ogni anno l’ONU sceglie uno o più temi da portare all’interesse del grande pubblico. Come si può vedere dalla lista degli anni internazionali, gli argomenti sono dei più vari e spaziano dall’anno della fisica a quello dei gorilla, dalla biodiversità all’energia sostenibile, dall’anno polare a quello dei deserti.
La scelta degli argomenti, decisamente vari ed eterogenei, è il risultato di un lungo processo che inizia anni prima con proposte da parte di società culturali che caldeggiano un determinato tema sulla base di anniversari importanti (100 anni dalla scoperta di…) oppure per aumentare l’attenzione su temi di interesse generale ma poco pubblicizzati. 
Se l’argomento risuona con l’interesse del pubblico e l’organizzazione è stata preparata con cura, il successo è garantito. La celebrazione dell’anno dell’astronomia nel 2009 (400 anni dalla prima osservazione di Galileo) ha marcato un momento di eccezionale interesse da parte del pubblico che ha risposto in modo entusiastico alle iniziative che sono state proposte.
Per le Nazioni Unite il 2015 è sia l’anno internazionale della luce (IYL per International Year of Light) sponsorizzato dall’UNESCO, sia l’anno internazionale del suolo (IYS, per International Year of Soil), sponsorizzato dalla FAO.
La luce pervade la nostra vita. Nulla di quello che ci circonda potrebbe esistere senza la luce. Quasi ogni forma di vita che si è evoluta sul pianeta Terra ha estratto l’energia necessaria alla sua sopravvivenza dalla luce del Sole, oppure si è cibata di organismi in grado di farlo sfruttando anche le ricchezze offerte dal suolo. Vita sulla terra e luce formano un binomio sul quale vale la pena di fermarsi a riflettere.
Per i fisici la festa è cominciata in anticipo con il conferimento del premio Nobel per la fisica 2014 agli scopritori del principio alla base del LED blu, un risultato che sta rivoluzionando (in meglio) il nostro modo di illuminare la notte.
A proposito di illuminazione, vi invito a dedicare qualche minuto allo spettacolo Light is here creato dall’artista finlandese Kari Kola per la cerimonia inaugurale dell’anno della luce, tenutasi il 20 gennaio all’Unesco, a Parigi. Guardando il filmato, penso risulti evidente che l’artista si è fatto ispirare dalle luci danzanti delle aurore boreali.

Il fascino che la luce esercita sui fisici ha radici antichissime. Il primo trattato di ottica venne scritto giusto mille anni fa da Ibm al-Haytham, un scienziato arabo. Duecento anni fa Augustin Jean Fresnel pubblica un trattato sulla diffrazione della luce, dimostrando che la luce è un’onda. Cinquant’anni dopo, nel 1865, James Clerk Maxwell formula le equazioni che uniscono elettricità magnetismo e ottica e dimostrano che la luce è un’onda elettromagnetica. Passano altri cinquant’anni ed è il turno di Albert Einstein che, nel 1915, pubblica le equazioni della relatività generale che verranno messe alla prova pochi anni dopo, quando Eddington misura la deflessione dei raggi luminosi provenienti da una stella da parte del sole. La relatività non è sinonimo solo di difficili equazioni, è una disciplina di grande utilità: il GPS non potrebbe funzionare senza le correzioni relativistiche al tempo di propagazione dei segnali tra i satelliti e i nostri ricevitori.
Stonehenge e i grandi monumenti preistorici ci dicono che i nostri antenati conferivano proprietà divine alla luce.
La tradizione non è andata perduta, gli astronomi sono i moderni adoratori della luce e i legami tra astronomia e anno della luce emergono chiarissimi dal trailer.

I raggi X sono luce tanto quanto lo splendore di Venere o il ticchettio radio emesso dalle stelle di neutroni: sono solo prodotti di oggetti celesti più estremi, più caldi, più violenti. E’ luce la radiazione di fondo, emessa dall’Universo neonato ed è luce il raggio laser che ogni notte va e torna dalla Luna per misurarne con grande precisione la distanza. Su 300 quadrilioni (milioni di miliardi) di fotoni che partono dalla terra in un impulso di un fascio bel collimato, solo qualcuno torna indietro dopo essere stato riflesso dagli specchi che gli astronauti hanno lasciato sulla Luna. Un’idea geniale che ha permesso di provare il principio di equivalenza a meno di una parte su 10 milioni di milioni, dando ragione ad Einstein e anche al vecchio Newton, che aveva iniziato l’esercizio vedendo cadere una mela.
Per trasformare anidride carbonica e acqua in zucchero e ossigeno ci vuole la fotosintesi, un tocco magico che hanno solo le piante che crescono su ogni tipo di terreno, il suolo o, se preferiamo, il fango al quale viene dedicato il 2015 dalla FAO. E’ dal suolo che tutta la popolazione della terra trae il nutrimento e quando il suolo è degradato, è la salute di tutti noi a essere in pericolo. La FAO stima che un terzo del suolo disponibile sul nostro pianeta sia già troppo rovinato per poter essere usato. Oltre alla frazione non utilizzabile perché inquinata chimicamente o perché urbanizzata, bisogna considerare fenomeni naturali quali la salinizzazione dei terreni oppure l’erosione ad opera di acqua e vento la cui azione è resa più aggressiva dall’intensificarsi di eventi estremi dovuti al cambiamento climatico.
Mentre la terra arabile diminuisce, la popolazione mondiale è destinata ad aumentare rendendo necessaria una seconda rivoluzione verde per aumentare la produttività per unità di superficie. Ovviamente sia gli interventi di protezione del suolo, sia quelli di arricchimento hanno un costo, ma non sempre le nazioni che hanno più bisogno se li possono permettere.
Si tratta di mettere insieme tutti i dati di osservazioni della terra già disponibili e acquisirne di nuovi.
La missione SMAP (Soil Map Active Passive), che è partita a fine gennaio, dovrà misurare l’umidità superficiale del terreno e distinguere tra superfici gelate e in corso di scioglimento. Ogni tre giorni produrrà una mappa dell’umidità su tutta la Terra permettendo di seguire i cambiamenti stagionali, ma anche quelli indotti da grandi piogge o siccità.

Certo promuovere lo studio del fango è meno eccitante del suggestivo spettacolo di luci presentato a Parigi, tuttavia solo conoscendo bene il suolo si potrà nutrire il pianeta e prevenire catastrofi naturali.

Pubblicato su Che Futuro

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