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Guida Scientifica di Pavia

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Tutte le città italiane, o quasi, hanno una lunga e talvolta grande storia alla spalle. Una storia che si è, per così dire, oggettivata in edifici, mura, palazzi, strumenti, quadri, statue. Tutti noi potremmo (dovremmo) andare a spasso per le città italiane della storia armati di una guida culturale. Anche perché di guide culturali delle città italiane ce ne sono diverse. Basta cercarle.
Alcune città italiane, non poche per la verità, hanno una grande storia scientifica alle spalle, che si è, per così dire, oggettivata in edifici, case, palazzi, giardini, strumenti, musei. Tutti noi potremmo (dovremmo) andare a spasso per le città italiane della scienza armati di una guida scientifica. Ma di guide scientifiche delle città italiane ce ne sono poche o non ce ne sono punto.
Inaugura, quindi, un nuovo genere Pavia a spasso nella città della scienza, la guida scientifica di Pavia pubblicata con l’editore Ibis da Carlo Alberto Redi (biologo, Accademico dei Lincei) e da Manuela Monti (dottore di ricerca in Bioingegneria e bioinformatica medica). Entrambi pavesi. Entrambi amanti della scienza e della loro città. Entrambi, a leggere la guida, profondi conoscitori della storia della scienza e della storia di Pavia. Compito facile, il loro, direte voi.
Pavia è una città piccola dalla storia scientifica lunga. Facile fare una guida. È vero, Pavia vanta un’università antica, fondata nel 1361 e una serie di Collegi, i primo risalgono al XVI secolo, dove nel corso di mezzo millennio e più hanno studiato migliaia di giovani, alcuni dei quali geniali. La città ha ospitato scienziati, anche stranieri.
Che hanno lasciato innumerevoli tracce. Visibili. Facile fare la guida scientifica di Pavia, dunque. Ma se leggete la proposta di Redi e Monti vi imbatterete in una tale quantità di dettagli, in intrecci così fitti di storie personali, storie culturali e storie scientifiche da lasciare abbagliati. E se aggiungete il fatto che la guida è scritta così bene, con leggerezza (la leggerezza auspicata da Calvino) e umorismo (che spesso è solo gioia di raccontare la propria città), ma anche con passione civile – è dalla cultura, dicono Redi e Monti – che bisogna ripartire per tirare fuori l’Italia dalle secche dove si è cacciata – da avere la tentazione di smettere immediatamente di fare quello che state facendo e di andare a farli subito quattro passi a Pavia, città della scienza.
Non avreste che l’imbarazzo della scelte. I percorsi sono tanti:
Istituzionali: l’università, i Collegi, i musei.
Naturalistici: (le strade sono lastre, rocce calcaree, di ammoniti fossilizzate), i giardini e i parchi, le oasi e l’Orto botanico, ospitano una biodiversità urbana, una quantità inusitata di piante e di animali adattatisi a vivere in città, tutta da scoprire. Angolo per angolo, appunto.

Ma, forse, il percorso più intrigante è quello sulle tracce dei grandi scienziati che hanno frequentato Pavia.
Io inizierò i miei prossimi quattro passi a Pavia da via Ugo Foscolo, 11. Per la singolare coincidenza che quella casa ha ospitato sia un grande poeta e scrittore, Ugo Foscolo, sia un grande scienziato straniero, Albert Einstein.
Nella loro guida Redi e Monti ricostruiscono la vicenda che aveva portato, sul finire dell’800, il papà e lo zio di Albert a Pavia e a Milano. Venivano dalla Germania, pionieri dell’elettrificazione ma imprenditori poco fortunati. Albert, ancora ragazzo, era rimasto dapprima solo, a Monaco, poi era venuto a Pavia dove … ma questo è meglio che lo scopriate leggendo la guida. Tranne un dettaglio, che anticipo. Frequentando Pavia, Albert Einstein imparò l’italiano, con un metodo che, da buoni scienziati, Redi e Monti cercano di generalizzare. Albert Einstein cercò di avere ed ebbe effettivamente un po’ di fidanzatine, il che gli impose di imparare in fretta la lingua che gli era estranea.
Dunque, ne concludono sornioni Redi e Monti, impegnatavi a corteggiare, a innamorarvi e ad amare e imparerete le lingue.

Da casa Foscolo/Einstein mi sposterò – senza trascurare tutto ciò di interessante in cui mi imbatto nel percorso – nello spazio e nel tempo, per giungere nella vicina via Volta, dove, al numero 29, troverò la casa, appunto, di Alessandro Volta. O meglio l’ultima dimora in cui il grande Alessandro abitò a Pavia. Poi allungherò il passo per andare al corso Strada Nuova, 77: dove potrò ammirare la casa “dove trascorse della vita operosa”, come recita la targa, Camillo Golgi, il grande istologo che è stato il primo premio Nobel scientifico italiano.
Ma, lo confesso, mi proporrò un nuovo piccolo viaggio nello spazio e nel tempo perché mi intriga molto quella storia un po’ “arsenico e vecchi merletti” che posso ricostruire tra via San Martino, 12 e l’Orto Botanico di via Scopoli, dimore, rispettivamente di Lazzaro Spallanzani e Giovanni Antonio Scopoli.
Si tratta di due grandi scienziati del ‘700. Il primo, Spallanzani, è forse il più grande e certo il più famoso. Il suo nome era conosciuto in tutto il mondo. Inoltre era il cocco, per dirla con Redi e Monti, dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Aveva dunque grande influenza e suscitava grandi invidie. I suoi oppositori, tra cui il grande botanico e zoologo Giovanni Antonio Scopoli, approfittano di un suo viaggio in Turchia per accusarlo di furto di materiali dal museo (già allora Pavia aveva un grande museo scientifico). Accusa falsa, che angustia non poco Spallanzani. Che medita vendetta. E, siccome è un prete, medita uno scherzo da prete. Mette insieme, sotto alcol, una trachea e un esofago di una gallina facendola consegnare – in una notte scura scura (l’ambientazione è essenziale nel racconto) – al povero Scopoli, sostenendo che quella strana formazione è stata vomitata il 25 febbraio 1784 dalla moglie incinta del signor Vincenzo Domenico Grandi, sei ore prima del parto.
Redi e Monti ci spiegano come il povero Scopoli non si avvede dello scherzo e, in un  nota scientifica (un vero e proprio libro), disegna e descrive minuziosamente lo strano essere, che battezza col nome di Physis intestinalis.
Come sia andata a finire è facile intuirlo. Spallanzani in una seduta pubblica all’università smaschera l’infortunio.
Tutta Pavia ride. Scopoli non resiste all’onta subita. Si chiude nella sua casa, all’Orto Botanico, e dopo due settimane muore.

Passando per quelle strade vi parrà ancora di sentirle quelle risa di scherno e quelle grida di dolore. Piccola storia, emblema di un’Italia che anche quando è grande riesce a essere sempre un po’ piccina.


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