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Un modesto consiglio per l’Europa

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Un modesto consiglio, non richiesto, a Matteo Renzi, nella sua doppia veste di Presidente di turno dell’Unione Europea e di Presidente del Consiglio italiano.
Caro Presidente, quando, a fine agosto, coordinerà la riunione dei capi di governo europei per scegliere i 28 prossimi commissari che a Bruxelles affiancheranno Jean-Claude Juncker, abbia uno sguardo lungo e faccia un pensierino alla casella relativa alla ricerca scientifica.

Ci pensi, è una casella di peso. Un peso molto superiore a quanto, in genere, viene percepito nelle cancellerie di tutta Europa. Intanto perché, con i suoi 11 miliardi di budget annuo da qui al 2020, è il terzo canale di spesa della Commissione, dopo l’agricoltura e dopo i fondi strutturali per lo sviluppo delle regioni povere dell’Unione. E poi perché quello del Commissario alla Ricerca è una spesa strategica. Molto più delle altre due. Se l’Europa intera potrà tenere il passo dei vecchi e dei nuovi player mondiali della cultura e dell’economia, non può certo puntare sull’agricoltura – peraltro già largamente assistita – e neppure solo sullo sviluppo delle regioni più povere. Dovrà puntare su quello che il presidente americano Barack H. Obama, che sappiamo essere suo amico, considera il motore dell’innovazione e dello sviluppo economico: la ricerca scientifica.
L’Europa per oltre tre secoli, dal XVII alla prima parte del XX secolo, ha avuto il monopolio pressoché assoluto degli investimenti in ricerca scientifica. È grazie a questo monopolio che il Piccolo Continente ha acquisito la leadership economica e politica sul pianeta.

Ora l’Europa è in difficoltà. Non solo e non tanto perché l’intensità dei suoi investimenti in ricerca e sviluppo – 1,9% sul Prodotto interno lordo (Pil) dell’Unione – sono da un paio di decenni almeno stabilmente inferiori a quelli di Stati Uniti (2,9%) e a quelli del Giappone (3,4%) e, da un anno almeno, sono inferiori anche a quelli della Cina (2,0%, ma con una tendenza a raggiungere il 3,0% nei prossimi dieci anni). Ma anche e soprattutto perché molti dei suoi ricercatori iniziano a pensare di migrare non solo verso una sponda ormai tradizionale, quella degli Stati Uniti d’America, ma anche verso una sponda nuova e sempre più attraente: quella degli Stati Uniti dell’Asia, come la scorsa settimana su Nature li ha battezzati Colin Macilwain. Fossi in lei, mi preoccuperei molto di questa disponibilità a partire degli europei. Significa che hanno fiutato da dove tira il vento della creatività.

Caro Presidente, se l’Europa perde la gara della creatività, perde tutto. Per vincerla non basta, certo, la ricerca scientifica. Ma senza la ricerca scientifica è impossibile persino partecipare alla gara. Dunque, quella del Commissario alla Ricerca è una casella strategica. E il fatto che i governi d’Europa non lo percepiscano e non facciano a gara per occuparla è, ahimè, un brutto segnale. Significa che non hanno consapevolezza della posta in gioco.
Prima articolazione del nostro modesto consiglio, dunque. La tenga nel debito conto, quella casella. La consideri e la ponga come il piatto forte della trattativa. Pretenda che a occuparla sia una personalità, politica o tecnica poco importa, purché di grande valore internazionale. Una persona autorevole, conosciuta in tutto il mondo e che abbia, soprattutto, uno sguardo lungo. Uno sguardo che guardi al futuro dell’Europa.
Seconda articolazione del consiglio. Consideri la possibilità che il prossimo Commissario alla ricerca sia un italiano. Anche a rischio di perdere la possibilità di occupare qualche altra casella considerata (a torto) di maggior peso e prestigio.

Vede, caro Presidente, il nostro Paese ha molti uomini e donne di scienza, in ogni ambito disciplinare, che potrebbero occupare con autorevolezza quel posto. Pensi a quanto sarebbe spiazzante e significativa se lei ne scegliesse uno o una e lo (la) candidasse a quel posto. Sarebbe un segnale forte, di consapevolezza e di visione strategica, che l’Europa e il mondo intero non potrebbero ignorare.
Certo, occupare una casella con un figura degna è un’azione politica importante. Ma per fare cosa? Questo è quel che conta davvero.

Eccoci, dunque, alla terza articolazione del consiglio. Un verbo sostantivato che a lei piace molto utilizzare: il fare. Quale dovrebbero essere gli obiettivi strategici di un grande Commissario alla Ricerca dell’Unione Europa?

Il primo obiettivo è (sembra) banale. Convincere l’Europa del valore strategico del suo ruolo. Che la ricerca scientifica è la leva per proiettare il Piccolo Continente nel futuro.
Ne consegue un altro obiettivo in apparenza banale. Sebbene il Commissario, con i suoi 11 miliardi l’anno, sia il singolo finanziatore di scienza più importante d’Europa, il suo budget costituisce appena il 4% di tutti gli investimenti in ricerca dei 28 stati dell’Unione. Troppo poco. Per fare un paragone: il governo federale degli Stati Uniti gestisce il 30% degli investimenti del paese in R&S. Altrettanti il governo di Pechino. Mentre il governo del Giappone è al 20%. Uno Commissario dallo sguardo lungo deve porsi sia il problema dia aumentare la spesa europea (e raggiungere al più presto l’obiettivo di Barcellona del 3% sul Pil) sia di allineare la spesa centralizzata ai livelli almeno del Giappone. Magari trasferendo risorse dall’agricoltura alla scienza.
Ma anche in questo caso la domanda è: per fare cosa? Il primo obiettivo è quello indicato qualche tempo fa proprio di un italiano, Antonio Ruberti, un politico della ricerca dalla sguardo lungo. Creare un’area comune della ricerca. Creare, almeno nell’ambito scientifico, una reale integrazione delle attività scientifiche e di innovazione tecnologica. Magari con un’Agenzia Europea di finanziamento, come la National Science Foundation (NSF) o i National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti.

Non partiamo da zero, caro Presidente. Abbiamo già l’European Research Council (ERC) che ha dimostrato di saper lavorare molto bene. Solo che nei prossimi anni l’ERC avrà un budget inferiore ai 2 miliardi di euro l’anno. Pensi che negli Stati Uniti la sola NSF gestisce un budget più che doppio (4,3 miliardi di euro) e gli NIH addirittura più che decuplo (23 miliardi di euro).
Un Commissario dallo sguardo lungo deve creare le premesse perché l’European Research Council raggiunga almeno quei livelli e potenzi la ricerca di base o curiosity-driven, che è il motore del motore dell’innovazione.
Come lei saprà, signor Presidente, l’attuale programma di ricerca europeo si fonda, oltre che su ERC, anche su alcune grandi sfide di ricerca applicata: l’invecchiamento, il clima, il cervello. Probabilmente queste sfide devono essere estese e (dicono in molti) ripensate. Un buon Commissario, probabilmente, nel fare tutto questo chiederebbe all’intera comunità scientifica europea di compartecipare alle scelte di allargamento e di ripensamento.
La terza gamba di Horizon 2020, infine, è la Join Technology Initiative. Il rapporto tra scienza, innovazione ed economia è molto complesso e delicato. Un buon Commissario dovrebbe, tuttavia, giungere a una decisione partecipata, allargata alle varie componenti della società europea e non ristretta alla burocrazia di Bruxelles, anche su questo punto: quali sono i settori dell’alta tecnologia su cui l’Europa punta per costruire il proprio futuro? E, soprattutto, come dare a città e distretti europei una forte vocazione all’innovazione?

Caro Presidente, il nostro è un modesto consiglio. Ma siamo certi che se lo facesse suo almeno in parte, passerebbe alla storia per il politico che ha rilanciato – o, almeno, ha cercato di rilanciare – un continente un po’ in difficoltà, che non ha capito o comunque non regge il passo della globalizzazione.
In più, signor Presidente, avrebbe in mano un buon canovaccio per accelerare il rinnovamento e cercare di portare fuori dalle difficoltà anche l’Italia, uno dei pochi paesi in Europa (ma ora occorre dire anche nel mondo intero) che persegue “un modello di sviluppo senza ricerca”. Ciò che vale per l’Europa, infatti, vale anche e a maggior ragione per il nostro paese. Perché, per parafrasare il vecchio Giustino Fortunato: la scienza sarà la fortuna o la sciagura d’Italia.


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