Le cifre danno l'idea di quella che Maria Ines Colnaghi, direttore scientifico di AIRC, ha chiamato un'impresa titanica. I quattro nuovi programmi finanziati con i fondi del 5 per mille, dedicati alla diagnosi precoce e presentati ieri alla stampa, si vanno ad aggiungere ai primi 10 di oncologia clinica molecolare incentrati sulle terapie, attivati nel 2010, per completare un progetto ambizioso: usare 154 milioni di euro raccolti grazie alle firme di più di un milione e mezzo di cittadini per reclutare oltre un migliaio di ricercatori in tutta Italia, o farli rientrare dall'estero, e arrivare così in cinque anni a lasciare un segno visibile sulla possibilità di curare meglio il cancro.
Perché la diagnosi dopo la cura
«Può sembrare curioso che il primo bando sia stato dedicato alla cura, che concettualmente viene dopo, mentre il secondo miri a migliorare la diagnosi e la prevenzione» spiega Maria Ines Colnaghi. «Abbiamo però seguito le esigenze della ricerca: quando abbiamo promosso il primo bando, l'oncologia italiana stava già lavorando su target molecolari che avrebbero potuto dare origine a nuovi farmaci e a nuove terapie, ma mancava di finanziamenti per portare a termine la missione. Ora invece è il mondo della diagnosi precoce, attraverso i marcatori genetici - e non solo - a essere in fermento, ed è giusto investire in questa direzione».
Gli ultimi arrivati poi potrebbero superare in corsa quelli partiti nella prima fase, producendo un impatto pratico ancora più rapido e immediato sulla cura, sebbene i primi stiano già producendo importanti risultati. «Grazie alle nuove tecnologie, gli approcci terapeutici innovativi che ci aspettiamo dai dieci progetti iniziali potranno arrivare al letto del paziente in tempi più rapidi di quel che sarebbe accaduto una volta» spiega Pier Paolo Di Fiore, coordinatore della Commissione programmatica 5 per mille. «Ma, nel frattempo, la messa a punto di altri metodi per la diagnosi precoce attraverso questi quattro nuovi programmi permetterà di ottimizzare i risultati dei trattamenti che già abbiamo a disposizione, prima di tutto quelli chirurgici, che potranno intervenire quando il tumore è ancora circoscritto, con minori conseguenze e migliori risultati».
Finalmente una donna ai vertici
Tra i responsabili dei quattro nuovi programmi c'è finalmente una presenza femminile. E' Anna Falanga, degli Ospedali Riuniti di Bergamo, che cercherà di approfondire il significato dell'ipercoagulabilità del sangue che si osserva nei malati di cancro, ma soprattutto di capire se i marcatori dell'emostasi possano diventare strumenti per la diagnosi precoce dei tumori e per predirne l'andamento futuro. Per fare questo saranno esaminati migliaia di campioni di donatori di sangue sani e, per quanto riguarda gli aspetti prognostici, di pazienti con tumore al seno, al polmone oppure allo stomaco o all'intestino.
«Se si verificherà la validità di questo approccio di screening, la sua applicabilità sarà immediata» commenta la ricercatrice di origine napoletana, «perché i test della coagulazione vengono già condotti di routine in tutti i laboratori».
Un osso duro: il pancreas
Napoletano, ma all'opera al centro di ricerca ARC-NET presso l'Università degli studi di Verona, è anche Aldo Scarpa, che coordinerà un programma mirato a uno dei tumori ancora più difficili da trattare, quello del pancreas. «Oggi, in meno di un paziente su dieci questa forma aggressiva di cancro viene riconosciuta quando è ancora operabile» spiega il ricercatore. «In attesa di trovare terapie efficaci, anticipare la diagnosi già potrebbe in molti casi fare la differenza, aiutandoci poi a pianificare strategie di screening sostenibili su popolazioni ad alto rischio». L'aspetto più innovativo del progetto di Scarpa, che coinvolge otto unità operative e 120 ricercatori, è che per svelare la presenza del cancro non si affiderà solo a marcatori prodotti dalle cellule tumorali, ma anche a segnali lanciati dai tessuti circostanti il tumore.
Spie intorno al tumore
Al cosiddetto microambiente guarda anche Marco Pierotti, a capo della task force dell'Istituto dei tumori di Milano a cui partecipa anche un gruppo dell'Università di Palermo: «Questo progetto si propone di verificare l’ipotesi, già suffragata da alcune prove sperimentali, che il microambiente in cui avviene la trasformazione neoplastica interagisca precocemente con le cellule trasformate e ne amplifichi i segnali rendendoli identificabili nel sangue» spiega. «Obiettivo principale del progetto è quindi lo studio delle influenze reciproche tra tumore, cellule dello stroma e matrice extracellulare, per definire, attraverso una caratterizzazione molecolare e genetica, la natura e il ruolo delle interazioni specifiche col microambiente che avvengono durante lo sviluppo del tumore della mammella, del polmone, della prostata, del colon-retto e del melanoma. I mediatori molecolari di queste interazioni identificabili nel plasma rappresentano bio-marcatori utili per diagnosticare un tumore nelle sue fasi più precoci e indicarne l’aggressività e la sensibilità o meno a farmaci molecolari».
Diagnosi a domicilio con le nanotecnologie
L'ultimo progetto è quello di Giuseppe Toffoli, del Centro di riferimento oncologico di Aviano, in provincia di Pordenone. Davvero l'ultimo in ordine di tempo se, come ha raccontato Toffoli in conferenza stampa, è riuscito a premere il tasto “invio” del computer per sottoporlo ad AIRC alle 23.55 del giorno di scadenza del bando! «Una delle peculiarità del nostro lavoro sarà di unire competenze molto diversificate tra loro: ingegneri e fisici a fianco dei medici» aggiunge, «per mettere a punto con le nanotecnologie dispositivi portatili e miniaturizzati da poter utilizzare anche a casa propria dal paziente stesso, esattamente come fanno i diabetici per misurarsi la glicemia».
Lo scopo in questo caso non è infatti solo la diagnosi precoce, che si potrà ottenere monitorando l’andamento di marcatori tumorali anche in concentrazioni molto basse: sia biomarcatori classici come il PSA nel tumore della prostata, del CEA nel tumore del colon, dell’alfafetoproteina nell’epatocarcinoma; sia quelli più recentemente scoperti come le cellule tumorali circolanti presenti nel sangue, del VEGF e della caderina. «Oltre a questo, grazie alle nuove tecnologie, si vuole mettere a punto un sistema per tenere sotto controllo, in modo semplice ed innovativo, la concentrazione dei farmaci nel sangue dei pazienti, riducendo gli effetti indesiderati della terapia ed aumentandone l’efficacia» conclude Toffoli, esempio, come i suoi colleghi, della figura di medico ricercatore che il Programma finanziato col 5 per mille si propone di promuovere per gettare un ponte tra laboratori e corsie. Perché tra le provette si sappia quali linee di ricerca è più urgente perseguire per le esigenze degli ammalati e perché questi possano usufruire il prima possibile dei risultati delle sperimentazioni stesse.