A 48 anni Francesco Cecconi è il più anziano, si fa per dire, dei PI, i principal investigator, a bordo della nave della Royal Caribbean che ha ospitato la scorsa settimana il retreat del Dulbecco Telethon Institute. Ma in ambito accademico è giovanissimo, il più giovane dei professori ordinari del Dipartimento di Biologia dell'Università Tor Vergata, dove è docente di Biologia dello sviluppo dal 2006. In questo settore disciplinare è addirittura il più giovane d'Italia, un'eccezione nel grigio panorama accademico italiano dove la metà dei professori ordinari ha superato i 60 anni e quasi 8 su 100 addirittura i 70. Un paradosso che conferma la peculiarità del programma di Telethon per richiamare e trattenere in Italia i giovani ricercatori.
Un programma dominato anche dalla presenza femminile: se più della metà dei laboratori sono diretti da donne, tra le nuove leve le ragazze sono in netta maggioranza, circa il 70 per cento.
«In certi momenti ho dovuto subordinare scelte di vita, come quella di una gravidanza, al mio percorso professionale» racconta Valentina Bonetto, rientrata dal Karolinska Institute di Stoccolma e ora a capo di un laboratorio che si occupa di SLA e malattie neurodegenerative presso l'Istituto Farmacologico Mario Negri di Milano, «ma alla fine sono riuscita a conciliare le due cose e ora, oltre ai risultati scientifici, ho anche una bambina».
Le giovani ricercatrici prevalgono, tra i pochi sparuti maschi a cui forse non dispiace essere circondato di tante brillanti colleghe, e sono piene di entusiasmo: «Ci capita di restare in laboratorio fino a mezzanotte, ma ci divertiamo, scrivilo». E io lo scrivo.
Un istituto fatto di persone
Tutto cominciò durante il Festival di Sanremo del 1999, quando il premio Nobel Renato Dulbecco annunciò di voler devolvere il suo cachet di 50 milioni per evitare che altri, come lui, fossero costretti a emigrare all'estero per fare ricerca di alta qualità. Nacque così il Dulbecco Telethon Institute (DTI), che seleziona con rigorosi metodi meritocratici giovani scienziati a cui offrire una posizione in Italia, in un istituto a loro scelta.
Diversamente dagli altri due istituti finanziati da Telethon, l'Istituto Telethon di Genetica e Medicina (TIGEM) di Napoli e l'Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (TIGET) di Milano, il DTI infatti non ha una sede vera e propria: il lavoro dei ricercatori e del gruppo di collaboratori di cui ciascuno si circonda è sostenuto da Telethon, ma le strutture e i servizi del laboratorio sono offerti dalle istituzioni che li ospitano in diverse città.
«L'obiettivo è di inserire stabilmente queste persone nelle realtà italiane» spiega Cecconi, «per cui spesso si cerca di formalizzarne fin dall'inizio l'assunzione. Dal punto di vista economico però, anche in questo caso, restano a carico di Telethon per la durata del programma, che è di 5 anni rinnovabili per altri 5». In tal modo gli istituti di ricerca possono acquisire personale di altissimo livello senza gravare per molto tempo su budget sempre più risicati. «Rispetto ai centri di ricerca privati, per le università è più difficile fare un accordo centrato sulla persona, perché occorre passare attraverso i concorsi» aggiunge il ricercatore, «ma l'albo degli idonei previsto dalla riforma Gelmini dovrebbe snellire le procedure anche per queste partnership, che comunque già ci sono».
L'importanza di incontrarsi
Ospitano laboratori del DTI università e centri di ricerca di Modena, di Padova, di Pisa, di Trento, di Palermo, oltre che di Milano e di Roma. Una realtà diffusa in una ventina di laboratori, in cui lavorano attualmente più di cento giovani ricercatori, che mira a rivitalizzare la ricerca sulle malattie genetiche in tutta Italia, ma che per questa disseminazione sul territorio ha meno occasioni di incontro di chi condivide mensa e pausa caffè.
Ecco perché sono così importanti questi retreat, questi ritiri in cui presentare e discutere le proprie linee di ricerca, i propri dati preliminari, le proprie idee, scambiandole con quelle di chi lavora in altri laboratori, magari anche in altri settori, ma da cui si possono trarre spunti interessanti. La Fondazione Telethon prevede quindi una voce di budget per questi incontri, fondi che invece quest'anno, grazie all'ospitalità di Royal Caribbean, saranno reindirizzati verso la ricerca.
Fare scuola è un'altra cosa
E' bello vedere tutti questi giovani pieni di entusiasmo, e la familiarità che hanno con i loro capi, poco più avanti con gli anni, ben lontani dallo stereotipo del “barone” a cui siamo abituati. «Qui non ci sono gerarchie» sottolinea Pier Lorenzo Puri, che dirige un laboratorio di ricerca sulla distrofia muscolare all'IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma e uno presso il Sanford-Burnham Institute for Medical Research di La Jolla, a San Diego, dove insegna anche all'Università delle California. «Fare scuola significa trasmettere entusiasmo oltre che conoscenze, e vedere che questi ragazzi poi spiccano il volo a loro volta, facendo esperienze all'estero, creandosi un loro laboratorio, seguendo altre linee di ricerca. Umanamente a volte può dispiacere» aggiunge il ricercatore, sempre circondato dalle ragazze che lavorano con lui, «perché col tempo si creano forti legami personali, ma in questo modo l'eredità che lasciamo alla scienza si moltiplica». Come ha ricordato Francesca Pasinelli, direttore generale di Telethon, alla conferenza stampa di presentazione dell'evento, Dulbecco ripeteva spesso che ovviamente era molto orgoglioso di aver ottenuto il Nobel, ma molto di più che altri cinque suoi allievi lo avessero vinto dopo di lui. E c'è da scommettere che anche i PI di questo istituto virtuale la pensano così. Roberta Villa