Evgenij Vaganov, rettore dell’Università Federale della Siberia di Krasnoyarsk, ha pensato bene di affidarlo a un suo professore di economia, per consentire all’illustre ospite di superare la prova più dura che possa capitare a un ricercatore straniero che si reca per lavoro in Russia: la burocrazia. Ma nonostante l’aiuto, Ernst-Detlef Schulze, biogeochimico del Max Planck Institute di Jena, in Germania, deve superare tanti e tali ostacoli – a iniziare dalla diffidenza dei servizi segreti che vogliono sapere tutto, tutto verificare e approvare – da dichiarare pubblicamente il suo scetticismo sulla possibilità che la curiosità e la creatività scientifica possano svilupparsi in un simile ambiente.
Ma i russi non disperano. Intanto, malgrado le difficoltà, la defatigante lotta con la burocrazie e le diffidenze dei servizi segreti ancora onnipresenti nel paese erede dell’Unione Sovietica, Ernst-Detlef Schulze, tra i massime esperti al mondo di “ciclo del carbonio” è lì, in Siberia, a dirigere un progetto biennale. E non è certo l’unico. Sono almeno 40 gli scienziati occidentali di grande prestigio che nel 2010 hanno vinto un grant del governo di Mosca e si sono trasferiti in Russia per portare a termine progetti biennali che, dopo attenta peer review, possono diventare quadriennali.
Tutto avviene nell’ambito di un grosso programma da 12 miliardi di rubli (480 milioni di dollari) varato dal governo russo non tanto per invertire il trend ventennale che ha portato migliaia di ricercatori ex sovietici a cercare lavoro in Occidente, quanto per migliorare, con la forza dell’esempio, la qualità della ricerca interna e modernizzare la scienza russa.
I grant non sono stati affidati in maniera preventiva a scienziati stranieri. Ma sono stati assegnati ai migliori progetti di ricerca in una gara svolta secondo gli standard internazionali aperta a tutti, russi e stranieri. I progetti, tanto per cominciare, dovevano essere scritti in inglese e sono stati valutati da referees anonimi, secondo standard internazionali.
Il programma, a quanto pare, ha avuto successo. Anche se poi gli scienziati stranieri incontrano mille e mille difficoltà nello svolgimento pratico delle ricerche. Dovendosi confrontare, appunto, con una burocrazia di cui è nota la pervasività e l’inefficienza. La battaglia contro la burocrazie non sarà facile. Ma torna a merito della comunità scientifica russa avere acquisito la consapevolezza che va combattuta.
Così come va a merito della comunità scientifica russa aver capito che per fare buona scienza oggi occorre aprire le frontiere. Uscire dalla rete della autoreferenzialità, ereditata dalla antica organizzazione scientifica dell’Unione Sovietica. Consentire ai più bravi di uscire dai confini russi, ma anche di entrare in Russia. In altri termini partecipare di una comunità effettivamente internazionale.
La comunità scientifica russa è numerosa: tuttora nel paese lavorano 400.000 ricercatori (cinque volte più che in Italia). E ha una grande tradizione culturale. Ma ha ancora pochi soldi (il paese investe poco più dell’1% del PIL in R&S). E soprattutto ha ancora larghe sacche di inefficienza (vedi tabella).
L’Accademia delle Scienze di Russia è una delle più grandi del mondo, potendo contare da sola su quasi 57.000 ricercatori. Ma la produttività di questo esercito della conoscenza è molto bassa. In cinque anni (tra il 2003 3 il 2007) questi ricercatori hanno prodotto solo 87.000 articoli pubblicati su riviste internazionali con peer review. Un ricercatore russo ha pubblicato in media 1,4 articoli in un intero quinquennio. Una produttività che è la metà esatti di un ricercatore dell’Accademia delle Scienze cinese; 6,5 volte inferiore a quella di un ricercatore tedesco della Max Planck Gesellschaft; 7 volte inferiore a quella di un ricercatore francese del CNRS.
Anche il numero di citazioni medie ricevute da un articolo di uno scienziato russo risultano decisamente minori rispetto a quello dei colleghi cinesi, tedeschi o francesi. Per quanto riguarda i russi, dunque, verrebbe da dire: “molti, ma non molto bravi”.
La scommessa a Mosca è ribaltare lo slogan in “molti e bravi”. Perché senza una buona scienza e una buona capacità di innovazione, difficilmente il paese, anche se ricco di materie prime, riuscirà a tenere il passo degli altri membri del BRIC (Brasile, India e Cina) che stanno entrando a vele spiegate nell’economia della conoscenza. È una scommessa ambiziosa. Ma in cui credono, se per realizzarla hanno messo mano alla tasca con una certa generosità. Convinti di un’altra piccola verità: che “non si possono celebrare le nozze con i fichi secchi”.
Accademie a confronto (Anni 2003-2007)
Accademia delle Scienze di Russia | Accademia delle Scienze della Cina | Max Planck Gesellschaft (Germania) | CNRS (Francia) | |
---|---|---|---|---|
Ricercatori | 56.760 | 39.000 | 4.700 | 11.600 |
Pubblicazioni su Scopus | 81.705 | 109.727 | 43.109 | 117.311 |
Articoli per ricercatore | 1,43 | 2,81 | 9,17 | 10,11 |
Citazioni per articolo | 2,66 | 3,8 | 11,97 | 7,42 |
Fonte: Scopus abstract and citation database, 2003-2007