La scorsa estate, il DDL della riforma universitaria è passato in Senato, ed è ora al vaglio della Camera dei Deputati. Di questa riforma, necessaria, si è tanto discusso, ma ad oggi l’aspetto che ha avuto maggiore visibilità e senza dubbio clamore è quello relativo al pensionamento dei professori. Tuttavia, non è questo il cuore della riforma, né di essa l’aspetto più rilevante.
Certo è legittimo chiedersi se questa riforma disegni l’università utopica dei nostri sogni: un’università così come era nelle proposta dal Gruppo 2003, con l’abolizione del valore legale del titolo di studio, l’eliminazione dei concorsi e così via. La riforma proposta dal Ministro Gelmini non è questo. Tuttavia, contiene - ed è bene sottolinearlo - dei forti elementi di innovazione. Auspicabili e di certo benvenuti.
Di essi, il più importante è il taglio meritocratico: più finanziamenti a chi fa bene, meno a chi fa poco e male. E ancora, la possibilità per gli Atenei che se la sentono, di camminare con governance diversa.
Dallo scorso anno, una quota piccola ma significativa dei fondi che lo Stato distribuisce alle Università viene assegnata sulla base dell’esercizio di valutazione effettuato dal CIVR (Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca). Precedentemente, la valutazione del CIVR era rimasta un puro esercizio senza conseguenze. Per questo una fonte che non è mai stata tenera ma sempre estremamente critica nei confronti della Politica della Ricerca effettuata dai vari Governi, - il gruppo 2003, attraverso il suo Presidente Tommaso Maccacaro - ha pubblicamente elogiato il Ministro Gelmini (vedere articolo “Brava Gelmini”). Ora il CIVR (o VQR) riparte, e non rimane isolato: sta infatti nascendo - dopo un percorso bipartisan - anche l’ANVUR, un’agenzia indipendente il cui compito è valutare gli Atenei e lo stato della ricerca, che funzionerà nel medio-lungo termine. La modalità con cui si sta procedendo alla scelta di chi guiderà ANVUR, attraverso un Search Committee autorevole che presenterà una rosa di candidati al Ministro, è appropriata e a suo tempo proposta come prassi dal Gruppo 2003.
Certamente la riforma non è perfetta ed è migliorabile in alcuni punti (ad esempio ruolo delle Facoltà). Tuttavia rappresenta un’occasione unica. Temo, infatti, che difficilmente si ripresenti in un prossimo futuro la possibilità di varare una riforma di taglio meritocratico. Merito e valutazione sono le parole chiave di questa riforma, ed è questo l’aspetto da valorizzare ed enfatizzare secondo il giudizio del CEPR, il Comitato di esperti chiamato dal Ministero a svolgere attività consultiva sui tema di politica della ricerca. Ci auguriamo che questo carattere meritocratico della riforma non venga snaturato nelle prossime fasi di passaggio legislativo, ad esempio con promozioni comunque mascherate, ope legis, che da sempre rappresentano la fine di tutti gli interventi sull’università proposti nel passato.
Certamente la riforma di per sé non basta. Molte sono le cose di cui abbiamo bisogno per iniziare un percorso che doti l’Italia di un sistema di ricerca competitivo e confrontabile con quello dei paesi sviluppati. È necessario ad esempio rimuovere i lacci e lacciuoli che rendono macchinosa la gestione degli Enti di Ricerca e difficile il reclutamento di cervelli: in questo momento arruolare studenti e scienziati dall’estero è un’impresa titanica che si scontra con difficoltà enormi, a volte insormontabili.
La Riforma è solo una delle quattro “gambe” del tavolo della Ricerca. La seconda è una (o più) cabina di regia (Agenzie di Ricerca Scientifica), che costituiscano sportelli di finanziamento affidabili e trasparenti, prendendo esempio da charity come AIRC .
La terza gamba è la promozione della ricerca industriale e del rapporto fra ricerca accademica e trasferimento tecnologico. Infine, la quarta gamba sono le risorse: il paese investe poco in ricerca e in istruzione superiore. E questa tendenza va invertita, perché non si può riformare il sistema di Ricerca del Paese senza risorse. Non si fanno nozze con i fichi secchi.