L’ultimo allarme è arrivato dalla Coldiretti: dallo scoppio della crisi economica, nel 2008, alla fine del 2014 i prodotti simbolo della dieta mediterranea – olio di oliva, frutta e verdura fresche – sono stati sempre meno presenti nei carrelli della spesa.
Gli acquisti di olio di oliva sono calati del 25%, quelli di frutta e verdura del 7%, portando il consumo procapite di vegetali freschi a 130 chili l’anno, in media 360 grammi al giorno (l’Organizzazione mondiale della sanità ne consiglia un consumo quotidiano di 400 grammi).
La dieta mediterranea, che insieme a quella nordica è considerata dall’Oms tra i regimi alimentari più corretti esistenti grazie al basso consumo di carne e all’elevato impiego di pesce, legumi, vegetali e cereali, sta dunque perdendo piede.
La preoccupazione è rivolta soprattutto ai più giovani: in Italia, solo il 18% della popolazione di età superiore ai tre anni consuma almeno quattro porzioni di frutta e verdura al giorno. I redditi calano, sulle tavole compaiono cibi più economici ma spesso ricchi di grassi saturi e sale (o zucchero), cresce il numero di persone (adulti e bambini) obese o in sovrappeso e, conseguentemente, aumenta il rischio di contrarre malattie croniche quali diabete, ipertensione, disturbi respiratori, tumori.
L’Oms ha stimato che in Europa le malattie non trasmissibili sono la causa dell’86% delle morti premature. La lotta alla cattiva alimentazione, con il paradosso di trovare a volte nello stesso Paese problemi sia di obesità sia di carenze alimentari, è una delle principali sfide che l’Organizzazione mondiale della sanità si è data da qui al 2020.
Il quadro che emerge dalle statistiche è inquietante: sovrappeso e obesità sono ritenuti responsabili ogni anno della morte di circa 320mila persone adulte nei paesi dell’Europa occidentale.
Negli stati europei meridionali, poi, sovrappeso e obesità sono largamente presenti tra bambini e adolescenti. Lo studio realizzato dall’Oms attraverso il programma europeo di sorveglianza dell’obesità infantile (Childhood Obesity Surveillance Initiative – COSI) ha rilevato che un bambino su tre, tra i sei e i nove anni di età, è sovrappeso o obeso (si ha obesità quando l’indice di massa corporea è superiore ai 30 kg/m2). Inoltre, lo studio ha mostrato una correlazione tra condizione socioeconomica ed eccesso di peso, che potrebbe in parte derivare dal fatto che i ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate vivono in condizioni ambientali che rendono loro più difficile l’accesso a cibi salutari e a opportunità di intraprendere attività fisiche. I dati non sono recentissimi, gli ultimi risalgono al 2009, ma la declinazione italiana del COSI, il progetto “Okkio alla salute” dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ha portato avanti l’esperienza, rinnovando l’indagine con cadenza biennale.
A oggi sono tre le raccolte dati concluse (2008/9, 2010 e 2012). L’ultima, del 2014, è in fase di elaborazione. Tutte le rilevazioni hanno riguardato l’intero territorio nazionale e hanno visto il coinvolgimento di oltre 45.000 bambini e genitori.
In sei anni si è evidenziata una leggera diminuzione del sovrappeso e dell’obesità dei bambini, ma secondo l’ISS “persistono livelli preoccupanti di eccesso ponderale. Nel 2012, infatti, il 22,2% dei bambini è risultato in sovrappeso e il 10,6% in condizioni di obesità”.
Il problema non è distribuito in maniera omogenea: le regioni del Sud e del Centro mostrano dati più elevati. E, comunque, i valori italiani sono tra i più alti raccolti dall’Oms all’interno del COSI.
E’ interessante notare il ruolo del contesto familiare: il peso e l’istruzione dei genitori, riferiti dagli stessi, mostrano un’associazione con lo stato ponderale dei figli. In particolare, laddove l’istruzione dei genitori è elevata (almeno un laureato in famiglia) si assiste a una percentuale minore di figli in sovrappeso e obesi. Lo stesso dicasi per la presenza in famiglia di almeno un genitore obeso, che fa aumentare la possibilità che anche i figli abbiano problemi di eccesso ponderale.
di Vania Rivalta