fbpx L'eco del cervello che legge la coscienza | Scienza in rete

L'eco del cervello che legge la coscienza

Primary tabs

Tempo di lettura: 3 mins

Se ancora non è possibile interpretarla in dettaglio, la coscienza e i fattori che ne determinano l'attivazione può ora essere monitorata, soprattutto in pazienti affetti da patologie gravi, come le lesioni cerebrali. Questo grazie a uno studio di un gruppo di ricercatori dell'Università di Milano appena pubblicato su Science Translational Medicine, che descrive una tecnica finora inedita, in grado di superare  i test utilizzati classicamente in medicina clinica per stimare il livello di coscienza ("stringi il pugno", "apri gli occhi").
Molti pazienti, tuttavia, sono incapaci di rispondere anche a questi comandi elementari. Non è detto, però, che non siano in grado di conservare un livello, seppur minimo, di coscienza.

Il team coordinato da Marcello Massimini è andato allora più a fondo:

"Siamo partiti da un'ipotesi, che fa riferimento a indicazioni teoriche mai però dimostrate (la teoria dell'informazione integrata di Giulio Tononi), secondo cui il livello di coscienza dipende dalla complessità d’informazioni immagazzinate. Ci possono essere singole informazioni o aggregazioni. Il loro bilancio è quello che abbiamo voluto misurare ".

La tecnica utilizzata dai ricercatori è originale e inedita, dal momento che sfrutta un metodo già consolidato, la stimolazione cerebrale transcranica, per poi misurare il tipo di aggregazione immagazzinando i dati ottenuti come dei bit, con gli algoritmi usati in informatica.
 "Quello che si fa è stimolare il cervello in una zona specifica per qualche frazione di secondo con un forte impulso magnetico per osservare la sua reazione. I brevi impulsi elettrici producono una sorta di eco, tracciabile con l'elettroencefalografia, che può essere più o meno complessa a seconda della loro aggregazione".

Per capire di cosa si tratta, si potrebbe pensare, per esempio, a un diapason che vibra quando è sottoposto a una stimolazione meccanica: "La perturbazione di tipo fisico è una metafora efficace - il primo autore dello studio, del resto, è un fisico quantistico. Nel caso del cervello incosciente, questo può risuonare o come un diapason, o come un enorme tamburo; un cervello cosciente, viceversa, risuona come un'orchestra, formata da strumenti diversissimi tra loro. Lo spartito di quest'orchestra è complicato da comprimere, mentre noi abbiamo tradotto gli stimoli elettrici in codice binario, per poi impacchettarli come uno zip, simile a quelli con cui si inviano immagini digitali via mail."
Risultato? I ricercatori hanno definito una scala di misura testata e affidabile che definisce lo spettro di tutte le fasi, dall'incoscienza alla coscienza. Questa fornisce un riferimento analogo ad altri organi (la frazione di eiezione per il cuore, o la capacità di filtraggio per i reni, ad esempio), che fa ben sperare di poter vedere la coscienza in pazienti incapaci di comunicare. I test sono stati eseguiti, infatti, su condizioni molto diverse tra loro: sonno, veglia, presenza di anestetici e vari livelli di lesione cerebrale (dal coma, allo stato semi-vegetativo).

"Per i pazienti che non comunicano è difficile valutare la bontà di una terapia. Trovare un bilancio, anche se in misura per il momento grossolana, tra singolarità e complessità, sarà di grande aiuto teorico a esplorare il cervello, speciale proprio per questo motivo, con un approccio più sperimentale, come quelli attesi dai grandi progetti europeo e americano appena lanciati". 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

I due astronauti della NASA bloccati nello spazio, flop della Starliner della Boeing

Per tornare a casa, i due astronauti della NASA Sunita Williams e Butch Wilmore (nella foto) dovranno prendere la navetta CrewDragon di SpaceX anziché la Starliner della Boeing con cui sono arrivati alla Stazione spaziale internazionale (ISS). Il tutto a causa di un guasto ai propulsori della Starliner di cui non si è ancora venuti a capo. In questo articolo Patrizia Caraveo racconta l'imbarazzante performance della Boeing rispetto alla concorrente Space X, che costringerà i due astronauti a restare nella stazione spaziale per un tempo molto più lungo del previsto, quando la navetta di SpaceX farà ritorno con due posti vuoti per loro. E con le tute pulite della giusta taglia...

Sunita Williams e Butch Wilmore, i due astronauti della NASA partiti il 5 giugno con la navetta Starliner della Boeing avrebbero dovuto trascorrere 8 giorni a bordo della Stazione spaziale Internazionale. Il viaggio, benché partito con 4 anni di ritardo rispetto ai piani originali, doveva servire per certificare che la Starliner fosse pronta per effettuare il servizio passeggeri ponendo fine al monopolio di SpaceX che la fa da padrone sia per i lanci delle sonde, sia per il trasporto degli astronauti.