A novembre parte in Italia, presso l’Istituto Oncologico del Veneto, la sperimentazione clinica del primo vaccino al mondo diretto alla prevenzione dei tumori: non per impedire infezioni potenzialmente cancerogene (come quelli rivolti contro il virus dell’epatite B o l’HPV) né per risvegliare le difese immunitarie dell’organismo contro la malattia già in fase avanzata, come fanno alcuni prodotti o procedimenti appena approvati o ancora in fase di studio. Quello di cui si parla oggi è vaccino a DNA in grado di bloccare la proteina prodotta dall‘oncogene Erbb-2, coinvolto nello sviluppo del 30 per cento dei carcinomi umani e quindi da cui ci si aspetta una protezione a largo spettro contro diverse forme di cancro.
Questo importante risultato è stato ottenuto dopo anni di ricerca condotta tra i laboratori di tre università italiane (quella di Torino con Guido Forni e Federica Cavallo, quella di Camerino con Augusto Amici e quella di Padova con Giorgio Amadori) e la azienda farmaceutica italiana Indena.
Tutto ha inizio nel 1994 quando durante il congresso “Gene vaccination in cancer” ad Ascoli Piceno vengono resi noti i primi dati incoraggianti che mostrano come il DNA esogeno, inoculato nell’organismo, penetra nelle cellule dell’ospite. Tali cellule sono in grado di esprime la proteina o il peptide codificato dal DNA introdotto. Da qui l’idea del vaccino a DNA, anelli di DNA (plasmidi) che codificano gli antigeni tumorali così da stimolare la risposta antitumorale mediata dai linfociti T.
Segue un lungo periodo di sperimentazione in cui i ricercatori coinvolti cercano di raggirare la tolleranza del sistema immunitario all’oncoantigene Erbb-2 (neu nel ratto e Her-2 nell’uomo) così da innescare la risposta immunitaria necessaria per distruggere le cellule tumorali. Dopo diversi tentativi la risposta arriva con il brevetto del plasmide RhuT codificante per la proteina chimerica Her-2/neu, cioè metà uomo e metà topo: la parte estranea amplifica la risposta immunitaria, quella nota viene riconosciuta e permette una maggiore tolleranza al vaccino.
Altro aspetto innovativo della ricerca prevede l’elettroporazione, cioè l’applicazione di una scossa elettrica tramite due elettrodi in modo da modificare la membrana cellulare, che diventa così più permeabile alle molecole aumentando l’efficienza con cui il DNA penetra nelle cellule dell’ospite.
La fase di sperimentazione nel topo ha evidenziato la potenza del vaccino come preventivo, mentre è meno attivo quando il tumore è già sviluppato. A questo proposito il gruppo di ricerca guidato da Francesca Cavallo ha studiato un differente vaccino a DNA costituito da due moduli, uno codificante per l’antigene convenzionale, l’altro per una molecola volta a neutralizzare i meccanismi di soppressione del sistema immunitario attivati dal tumore.
Eccezionale il risultato per cui i topi, geneticamente predisposti a sviluppare il cancro, una volta vaccinati non si ammalano e muoiono di vecchiaia. La ricerca continua nell’uomo e ha già superato le fasi di tossicologia e la produzione del dossier da sottoporre all’Iss per ottenere l’autorizzazione della fase clinica.
Quaglino et al., 2010. Cancer Research, 70:2604
Jacob et al., 2010. Cancer Research, 70:119
Bolli et al., 2011. Am. J. Cancer Res., 1(2): 255-264
Cerati F. “La via italiana del vaccino anti-cancro”. 2011, Il Sole 24 Ore