Ospitare le Olimpiadi conviene oppure no? La risposta più onesta che si può dare, in questo momento, è “dipende”. Se per alcuni l'impresa non vale la spesa – soprattutto in un periodo di grave crisi – c'è anche chi ha provato ad analizzare l'organizzazione di questi mega-eventi da un punto di vista economico, per capire cosa distingue una Olimpiade ben riuscita da una destinata al fallimento. Proprio questo è lo scopo di un recente studio di Ferran Brunet, professore di economia applicata all'Università autonoma di Barcellona, in cui l'autore ha confrontato il caso di Barcellona '92 – ritenuto vincente – con altri eventi olimpici, da Tokyo '64 in avanti.
Secondo Brunet la parola chiave per il successo è semplice: investimenti, investimenti e ancora investimenti. Una gestione ottimale dei giochi, si legge, “riduce al minimo i costi di organizzazione” perché essi “scompaiono dopo l'evento” e non portano benefici nel medio o lungo periodo. Ricopre invece un ruolo fondamentale la capacità di attirare capitali privati (sia nazionali che esteri), integrandoli con i finanziamenti pubblici.
L'Olimpiade spagnola, ricorda il professore, è costata 12,376 miliardi in dollari del 2000. Di questi, il 40% erano pubblici, il 16% sono arrivati dal comitato olimpico e il rimanente da investitori privati (sia nazionali che esteri). Soltanto una piccola parte di essi è stata spesa per l'organizzazione, mentre gli investimenti hanno ammontato a 10,5 miliardi – più dell'85% del totale. Ma investimenti dove, in particolare? Soprattutto immobili, infrastrutture, vie di comunicazione: è in questo modo che è nato buona parte del sistema stradale che i cittadini di Barcellona (e non solo) utilizzano ancora oggi. Una quota ancora inferiore di essi (il 9,1%) è stata invece destinata agli impianti sportivi.
I vantaggi di un approccio di questo tipo, ricorda lo studio, sono diversi: innanzi tutto la creazione di un numero rilevante di posti di lavoro: circa 20000 soltanto fra quelli a tempo indeterminato. I benefici, inoltre, non si sono esauriti al termine dei giochi, ma anzi hanno creato una sorta di “reazione a catena” positiva che è durata almeno fino al 2004, stimolando l'economia dell'intera regione. Fra i casi positivi citati anche Beijing '08: un altro evento in cui gli investimenti sono arrivati copiosi.
Questo però non significa affatto che l'Olimpiade sia un impegno da prendere a cuor leggero, o una fonte sicura di guadagno – senza nessun rischio. Brunet sottolinea anche la necessità di una adeguata pianificazione, e anzi indica diversi esempi negativi: Montreal '76, incapace di generare un equilibrio finanziario positivo, oppure Atlanta 2000, in cui gli investimenti non hanno provocato mutamenti significativi nel tessuto urbano coinvolto. Atene '04 è forse è il caso più clamoroso: vi è addirittura chi attribuisce a tale evento – anche se non è chiaro in che misura – alcune delle difficoltà economiche che hanno colpito con tanta gravità il paese ellenico.