Sebbene penalizzata da una comunicazione mediatica negativa, la chimica è intimamente correlata alle nostre vite e forse ci stupiremmo nel contare quanti prodotti esistono solo grazie al lavoro dei chimici e alle loro scoperte.
Del resto la natura stessa è fatta di atomi e di molecole, in equilibrio dinamico. Eppure, nella percezione pubblica, l’immagine dell’industria chimica è spesso sinonimo di rischio. Ma da quando la chimica ha cominciato ad avere nella percezione delle persone il significato di “veleno”, “innaturale”, “sporco”? Da quando la chimica ha assunto la connotazione negativa che ancora oggi ne condiziona la valutazione da parte dell'opinione pubblica?
Sarà utile, a questo proposito, dare uno sguardo d'insieme a come la scienza e, nel caso specifico, la chimica siano state raccontate da letteratura e pubblicità: media diversi ma ugualmente pervasivi. Le immagini proposte dal testo letterario e da quello audiovisivo hanno fatto presa sull'emotività popolare, costruendo un immaginario ideale, spesso, purtroppo, sganciato da qualsiasi attinenza al reale.
A proposito di chimica, molti scrittori si sono sporcati le mani con quella che è considerata una materia complessa, addirittura “puzzolente”, se confrontata con la pura fisica. Goethe offre un esempio di come i legami tra le molecole possano diventare lo spunto per narrare umane storie d'amore; Le affinità elettive tra i reagenti chimici non differiscono più di tanto dall'attrazione che si prova tra un uomo e una donna. Il fascino che la chimica esercitò sullo scrittore tedesco fu tradotto in pagine memorabili che resero molecole e reazioni appassionanti quanto una love story.
In Italia fu Primo Levi a narrare di chimica dalle pagine dei suoi libri; in particolare ne Il sistema periodico, dove affiora la competenza scientifica dello scrittore e la sua mai sopita infatuazione per gli elementi chimici. Tanto da scrivere una raccolta di ventuno racconti, ognuno dei quali reca il nome di uno degli elementi della tavola di Mendeleev. In un'intervista rilasciata a Philip Roth, l'autore di Se questo è un uomo spiega: «...devo ammettere che non c'è contraddizione tra l'essere un chimico e l'essere uno scrittore: c'è anzi un reciproco rinforzo».
E come non ricordare, in questa rapida carrellata di “scrittori da laboratorio”, un altro italiano, Alberto Cavaliere, poeta, laureato in chimica?
Cavaliere espresse bene, con rime giocose, nel suo libro Chimica in versi, la vicinanza feconda tra chimica e letteratura. Si dice che l'innovativo esperimento poetico nacque per caso, durante un esame all'università, quando, incalzato dalle domande del docente, Cavalieri decise di rispondere letteralmente per le rime. Il risultato fu una serie di versi stravaganti e divertenti come questo sul cloro: «Composto trovasi, puro non già,/per la sua massima affinità/ Giallo-verdognolo, d'odor non grato,/è un gas venefico, che ci vien dato».
Questi sono solo alcuni esempi di come la chimica fu, in un passato più o meno recente, presa, usata e trattata dagli scrittori. Il rapporto tra i due mondi non fu quasi mai conflittuale, tanto che i letterati la usarono come potente mezzo di ispirazione e i chimici sfruttavano il fascino che questa materia esercitava per poter assoldare giovani leve da formare nei laboratori.
Tuttavia, il forte appeal è diminuito sensibilmente negli ultimi trent'anni e così, quando nel 2008 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2011 “Anno internazionale della chimica” certamente aveva ben presente l'importanza vitale che questa branca della scienza ha avuto nello sviluppo della cultura umana: da Paracelso a Pasteur, passando per Marie Curie che, esattamente cento anni fa riceveva dall'Accademia Reale Svedese delle Scienze il premio Nobel per i suoi studi sul radio e sul polonio (sempre lei aveva ricevuto otto anni prima anche il Nobel per la fisica). L’importanza pratica delle scoperte ottenute grazie al sapere chimico è, come si è detto, inversamente proporzionale alla considerazione che ne ha il grande pubblico ai giorni nostri. Oggi la valutazione della chimica e delle sue implicazioni nella realtà quotidiana sembra stridere con l'idea, radicata nel senso comune, di naturalità.
Ecco spiegato lo scopo della celebrazione voluta dall'Onu che mira, infatti, a sensibilizzare maggiormente l'opinione pubblica sul valore della chimica e a renderne più brillante l'immagine. Come ha sostenuto il direttore generale dell'Unesco, Koichiro Matsuura: «Accrescere la consapevolezza sulla chimica è ancora più importante se pensiamo alla sfida rappresentata dallo sviluppo sostenibile. È sicuro che la chimica giocherà un ruolo importante nello sviluppo di fonti alternative di energia e nel provvedere al sostentamento della popolazione mondiale».
Il disastro di Bhopal, India 1984
Ai giorni nostri, spesso, allo stereotipo del chimico, scienziato dai capelli arruffati, tra le ampolle del suo laboratorio, intento a studiare formule complesse, subentra un'immagine meno romantica. Il chimico è l'inquinatore, l'uomo che lavora dietro le quinte per mettere a punto preparati pericolosi e nocivi per l'uomo e l'ambiente. A contribuire alla costruzione dell'immaginario negativo hanno influito decisamente alcuni disastri ambientali causati da incidenti a impianti chimici. Il più terribile, provocato da una funesta nube tossica, fu quello di Bhopal, in India, nel 1984 che provocò migliaia di morti (quasi diecimila, secondo le autorità indiane). In Italia Seveso, nel 1976, rappresentò l'apice del terrore legato all'intossicazione da sostanze chimiche. Il risultato è che oggi chiunque parli di chimica rischia di essere accomunato allo sviluppo dell'industria chimica, recando in sé anche le inevitabili connotazioni negative.
A questo punto la questione diventa, di diritto, appannaggio dei comunicatori. Infatti, a causa del 'salto semantico' che ha subito il termine 'chimico' (dal laboratorio e dalle formule all'industria e allo sfruttamento senza scrupoli delle risorse), è necessario mettere in campo le capacità dei comunicatori per ripristinare il giusto valore scientifico della chimica e rimuovere gli stereotipi e le associazioni grossolane che albergano, oggi, nel senso comune.
Le competenze dei comunicatori, di coloro che si occupano di strutturare e realizzare la comunicazione pubblicitaria, sino a oggi, sono state messe in gioco per arginare la diffidenza dell'opinione pubblica verso i prodotti commerciali.
La strategia attuata, però, è stata un colpo tremendo per l'appeal, già in caduta libera, della chimica. Si è innestata immediatamente una contrapposizione tra 'naturale' e 'chimico', ovvero bene contro male (una versione riveduta, ma non corretta, della contrapposizione natura versus cultura, così ricca di spunti per antropologi, sociologi e narratori). Davanti a una simile contesa chiunque si sentirà romanticamente attirato verso il naturale, verso ciò che è privo di contaminazione, ripudiando tutto ciò che riguarda l'artificiale, il chimico. Rispetto agli esempi letterari proposti all'inizio c'è un abisso.
I piani comunicativi costruiti dai mass-media operano una mistificazione del vocabolo 'chimico', dovuta sia a esigenze commerciali, sia ad una volontà strumentale di evocare lo scontro tra 'naturale' e 'artificiale' (chimico). Un esempio per tutti: il caso delle colture biologiche. La stragrande maggioranza delle pubblicità di prodotti biologici tende a sottolinearne la purezza e la mancanza dell'utilizzo di pesticidi, ma, come scrive il giornalista e scrittore Antonio Pascale: «Questo slogan non è propriamente esatto […] anche nel biologico ogni varietà può essere trattata con vari prodotti chimici e la dicitura “naturale” che li accompagna è naturalmente priva di significato. Per esempio l'uso dei prodotti rameici […] vanta una lunga tradizione tanto da essere annoverato […] tra i prodotti consentiti dall'agricoltura biologica. [..] il rame però non è privo di effetti collaterali […] il rame può seriamente danneggiare lombrichi, funghi e batteri utili perché responsabili del degradamento della sostanza organica e gli azotofissatori. Il rame viene rilasciato in acqua e qui diventa molto tossico».
L'uso del termine 'chimico' usato nella sua accezione negativa è onnipresente nella comunicazione pubblicitaria. Soprattutto quando si parla di alimenti, ecco che rispunta la dicotomia tanto falsa quanto fuorviante. 'Privo di additivi chimici' è una locuzione che garantisce meglio di mille parole e di altrettante prove che il prodotto è di qualità e può essere acquistato senza temere alcuna intossicazione. Sempre Pascale nel suo libro ricorda che la DuPont è stata costretta a ritirare uno slogan che recitava così: «Più sicuri grazie alla chimica». Una frase vera, storicamente fondata e dimostrabile in numerosi modi. Ma i consumatori non hanno apprezzato e la legge del marketing ha prevalso, sacrificando verità accertate e secoli di migliorie ottenute grazie allo studio dei dottori in chimica. Quando si pubblicizza un prodotto alimentare, una nuova fragranza di profumo, un sapone delicato, i teorici del marketing solitamente evitano di dire che alle spalle di quel prodotto eccellente c'è un equipe di ricercatori in chimica, che con sapienza e meticolosità hanno sperimentato e combinato reagenti sino ad ottenere il risultato finale.
Di questo lavoro nulla si può comunicare. Se le celebrazioni organizzate dall'Onu vorranno avere successo, oltre ai cambiamenti sostanziali evocati, dovranno quindi mettere in conto anche una revisione del processo di comunicazione della chimica; cominciando con il rivalutare positivamente la figura del chimico, senza accostarla grossolanamente all'industria chimica, o, peggio, a quell'immagine stereotipata dell’industria chimica, che la vuole piena di cisterne colme di pozioni fumanti e inquietanti dove sono realizzati prodotti nocivi per l'uomo. La vita quotidiana è un costante processo chimico, a volte molto complesso: dal nostro corpo alla fotosintesi gli esempi sono innumerevoli. Affidarsi a esperti decrittatori di questi codici complessi è necessario per non trovarci in serie difficoltà.
Oltre a dedicarsi alla comunicazione, molti ritengono che un altro rimedio a questa tendenza può essere quello di impostare una nuovo modello didattico per l'apprendimento delle scienze, e, ovviamente, della chimica. Connetterla – dicono - con la letteratura, visti i forti richiami storici, coinvolgere gli studenti attivamente, facendo sporcare loro le mani. La chimica resta una delle discipline più difficili per antonomasia, affossarla ancora di più rendendola anche poco attraente e connotandola negativamente potrà essere un'operazione che avrà costi altissimi in termini di ricerca futura.
Le conclusioni? Non possono che essere riservate ad un altro esponente di spicco del ramo; Roald Hoffmann, premio Nobel nel 1981, considera l'ignoranza della chimica un ostico impedimento alla realizzazione di una società pienamente democratica. La chimica deve sapersi vendere bene, al contrario di quel che accade oggi, ma ogni singolo cittadino ha il dovere di informarsi su un campo dello scibile così determinante per la propria vita: «Nuovi chimici, brillanti trasformatori di materia, usciranno dai corsi di chimica. Essi però non saranno in grado di sfruttare appieno le loro potenzialità se noi non insegneremo a quel 99 % di persone che non sono chimici, cosa fanno i chimici».
Giuseppe Scintilla