fbpx ESCAPE: l'inquinamento dell'aria uccide più del previsto | Scienza in rete

ESCAPE: l'inquinamento dell'aria uccide più del previsto

Read time: 3 mins

L ’esposizione prolungata alle polveri prodotte dagli scarichi di veicoli, dalle industrie, e dagli impianti di riscaldamento, anche al di sotto delle attuali limiti permessi dalle leggi in vigore in Italia e nella l’Unione Europea, può essere più nociva e mortale di quanto si pensava finora.

Un nuovo studio, pubblicato sul Lancet, ha esaminato 360.000 residenti in grandi città di 13 paesi europei. Lo studio stima che per ogni aumento nella media annuale di esposizione a particolato fine (le particelle di diametro inferiore a 2,5 micron, PM2.5) di 5 µg/m3 ci sia un aumento del rischio di morire per cause non accidentali del 7%.
Una differenza di 5 µg/m3 può essere quella che c’è tra un posto con molto traffico e uno non influenzato dal traffico in una città. I risultati dello studio possono essere utilizzati per le valutazioni di impatto sulla salute, finora basate solo su stime prodotte da studi condotti prevalentemente in Nord America.  

I ricercatori hanno utilizzato i dati dello studio ESCAPE  (European Study of Cohorts for Air Pollution Effects, coordinato dalla Università di Utrecht in Olanda) che ha unito i dati di 22 studi longitudinali europei, per un totale di 367.251 persone analizzate. Le concentrazioni medie annuali degli inquinanti (ossidi di azoto e particolato) sono state stimate alla residenza dei soggetti utilizzando modelli di regressione land-use. Sono state raccolte informazioni sull’intensità di traffico della strada della residenza e sul carico totale di traffico nei 100 metri attorno alla residenza. I soggetti in studio sono stati seguiti per circa 14 anni e 29.076 sono morti per cause non accidentali.
In Italia, lo studio è stato condotto a Roma (Dipartimento di Epidemiologia del Lazio), a Torino (AO Città della Salute e della Scienza-Università di Torino) e a Varese (Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano) e ha coinvolto circa 31.000 persone. Hanno collaborato allo studio numerosi enti tra cui le Agenzie ambientali dell’Emilia-Romagna e del Piemonte.

I risultati mostrano che il particolato fine è l’inquinante più dannoso, anche per concentrazioni sotto i limiti consentiti dall’attuale legislazione europea.

L’associazione tra esposizione prolungata a particolato e mortalità esiste anche tenendo conto di diversi fattori individuali come l’abitudine al fumo, lo stato socio-economico, l’attività fisica, il livello di istruzione e l’indice di massa corporea.
Secondo gli autori della ricerca: “I risultati suggeriscono un effetto del particolato anche per concentrazioni al di sotto dell’attuale limite annuale europeo di 25 µg/m3 per il PM2,5.  L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) propone del resto come Linea Guida 10 µg/m3 e i nostri risultati supportano l’idea che avvicinandoci a questo target si potrebbero raggiungere grandi benefici per la salute delle persone.”

Sullo stesso numero del Lancet, in un editoriale di presentazione, si afferma: “Nonostante i grandi miglioramenti della qualità dell’aria negli ultimi 50 anni, i dati di  Beelen e colleghi mostrano che gli effetti dell’inquinamento dell’aria sulla salute continuano. Questi dati, insieme ai risultati di altri grandi studi, suggeriscono quanto siano necessarie ulteriori politiche per ridurre l’inquinamento e, quindi, la morbosità e la mortalità in Europa. Come raccomandato dall’OMS, una priorità urgente dovrebbe essere quella di avviarsi verso i valori indicati dalle Linee Guida della qualità dell’aria dell’OMS che sono più restrittive.”

Autori: 
Sezioni: 
Epidemiologia

prossimo articolo

Tumore della prostata e sovradiagnosi: serve cautela nello screening con PSA

prelievo di sangue in un uomo

I programmi di screening spontanei per i tumori della prostata, a partire dalla misurazione del PSA, portano benefici limitati in termini di riduzione della mortalità a livello di popolazione, ma causano la sovradiagnosi in un numero elevato di uomini. Questo significa che a molti uomini verrà diagnosticato e curato un tumore che non avrebbe in realtà mai dato sintomi né problemi. Un nuovo studio lo conferma.

I risultati di un nuovo studio suggeriscono che i programmi di screening spontanei per i tumori della prostata, a partire dalla misurazione del PSA, portano benefici limitati in termini di riduzione della mortalità a livello di popolazione, ma causano la sovradiagnosi in un numero elevato di uomini. Questo significa che a molti uomini verrà diagnosticato e curato (con tutte le conseguenze delle cure) un tumore che non avrebbe in realtà mai dato sintomi né problemi.