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Lampi radio veloci. Il bello della sorpresa

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È raro che si scopra una nuova classe di sorgenti astronomiche. Quando succede, si entusiasmano sia i fisici teorici sia gli astronomi “osservativi” (e anche quelli sperimentali). I primi perché si trovano di fronte a un nuovo puzzle da risolvere: capire dove si genera, e quali meccanismi possano produrre, il fenomeno osservato – fino ad allora sconosciuto – e poi vedere come esso si inserisce nel quadro generale dell’astrofisica e con quali implicazioni; gli altri perché si affrettano ad organizzare campagne osservative per cercare nuovi esempi di quanto appena trovato e per determinarne le proprietà più importanti.
Sovente nasce anche l’esigenza di progettare nuova strumentazione, o almeno una nuova tecnica di osservazione, ottimizzata per la ricerca e il censimento dei nuovi arrivati.

È successo con le quasar, le pulsar, le binarie X ad accrescimento di massa, i Soft Gamma Ray Repeaters, i lampi gamma (GRB: Gamma Ray Burst). Queste scoperte sono state a volte il risultato di osservazioni sistematiche del cielo, magari in una banda elettromagnetica ancora relativamente inesplorata – oppure condotte con tecniche e strumentazione di nuova concezione – ma altre volte sono derivate da occasioni fortunate, mentre si era intenti a studiare tutt’altro.
Quasar e pulsar sono state scoperte negli anni ’60 del secolo scorso a seguito dello sviluppo delle osservazioni radioastronomiche, mentre le binarie X furono, circa dieci anni dopo, uno dei risultati derivanti dallo scandaglio sistematico del cielo alle alte energie con il primo satellite per astronomia X:Uhuru. 

I lampi gamma, invece, furono scoperti casualmente dai militari statunitensi che, utilizzando i satelliti Vela, nei primi anni della Guerra Fredda controllavano che l’Unione Sovietica rispettasse il trattato per la limitazione dei test nucleari e non detonasse bombe atomiche nell’atmosfera.
Spesso ci vogliono anni, o anche decenni, per capire la natura di una nuova classe di sorgenti astronomiche. Cosa fosse veramente 3C 273 (la duecentosettantatreesima sorgente del terzo catalogo di Cambridge di radiosorgenti, pubblicato nel 1959), lo capì per primo l’astronomo olandese Maarten Schmidt, quando – era il 1963 – osservando lo spettro visibile ottenuto al telescopio di 5 metri di Monte Palomar comprese che le sue righe di emissione altro non erano che le righe di Balmer dell’atomo di idrogeno, tutte spostate verso il rosso rispetto a quanto misurato in laboratorio (redshift z = 0,158).
 Ne conseguiva una distanza “cosmologica” per quella che all’apparenza sembrava una stella della nostra galassia, e dunque una luminosità, sia nella banda visibile sia in quella radio, per l’epoca eccezionali. Nel caso dei lampi gamma - eventi imprevedibili e di brevissima durata - sono stati necessari più di vent’anni per capire dove e come si originassero. Tolto il segreto militare sulla scoperta, le prime evidenze del fenomeno furono pubblicate nel 1973 ma solo nel 1997 un’osservazione, del satellite Beppo-SAX di un lampo gamma e di un afterglow X, ad esso associato, permise l’identificazione dell’emissione di alta energia con una debole galassia lontana. A quel tempo, di GRB ne erano ormai stati registrati oltre duemila, soprattutto dall’esperimento BAT- SE, costruito allo scopo e montato a bordo del Compton Gamma Ray Observatory, ed era diventato imbarazzante non sapere ancora cosa fossero.

È del tutto comprensibile, anzi è atteso, che l’apertura di nuove finestre elettromagnetiche sull’universo porti alla scoperta di nuove classi di sorgenti celesti. Radioastronomia e astronomia a raggi X ne sono stati un esempio. Questo tuttavia non ci deve far pensare che, ora che l’astronomia ha praticamente conquistato tutto lo spettro elettromagnetico, ci sia precluso il piacere di scoprire qualcosa di completamente nuovo e di confrontarci con la capacità di immaginare nuovi processi fisici, nuove situazioni cosmiche.

A volte basta guardare là dove si è già guardato, facendolo però in maniera “differente”, per venire sorpresi da una scoperta inattesa. E di maniere “differenti” e ancora inesplorate di guardarsi in giro ve ne sono molte, pur utilizzando bande elettromagnetiche note. Giusto per fare un esempio possiamo pensare a osservazioni sistematiche con polarimetri X. Nonostante siano state proposte in molte occasioni, già ai tempi della costruzione dell’Osservatorio Einstein, non sono ancora state possibili e sono in molti a pensare che sarebbero foriere di interessanti novità. Un altro esempio di “maniera diversa” di osserva- re è quello di essere sensibili a fenomeni rapidamente variabili, transienti. Ed è stata proprio la rilevazione di un impulso estremamente rapido, registrato in una banda radio larga 400 MHz centrata alla frequenza di 1382 MHz (corrispondente ad una lunghezza d’onda di circa 21 cm) che ci ha regalato l’ultima scoperta: i lampi radio veloci o FRB (Fast Radio Burst). Si tratta di fenomeni transienti della durata di pochi millisecondi in cui, considerando la loro probabile origine extragalattica, viene rilasciata una considerevole quantità di energia. Ne sono stati trovati 4 in una ricerca ad hoc con il radiotelescopio da 64 metri di Parkes (Australia) aggiungendo credibilità alla scoperta del primo FRB individuato (il cosiddetto Lorimer Burst del 2007, sul quale tuttavia rimaneva il dubbio che si trattasse di un’interferenza radio di origine terrestre). A convincere definitiva- mente la comunità scientifica dell’origine astronomica di questi rapidissimi lampi radio è stato il recente annuncio della scoperta di un altro evento, con il radiotelescopio di Arecibo (Portorico), da parte di Spliter e collaboratori (http://arxiv.org/ abs/1404.2934). Dunque una conferma indipendente visto che i precedenti episodi erano stati tutti registrati al radiotelescopio di Parkes. Osservazioni ripetute delle zone di provenienza dei FRB sinora trovati non hanno permesso di assistere alla ripetizione del fenomeno, inducendo a pensare che si tratti di eventi catastrofici e distruttivi, come nel caso dei GRB. A differenza dei GRB, sulla cui natura – galattica piuttosto che extragalattica – si dibatteva inizialmente, i FRB sono stati sin da subito considerati a distanze cosmologiche, con redshift che variano tra circa 0,45 e 0,95 (z=0,26 per il FRB trovato ad Arecibo). Come è possibile sapere la loro distanza, non avendo ancora capito quale sia la loro controparte astronomica e quali i fenomeni che li producono? Grazie alla misura di dispersione (DM).

Un’onda radio che si propaga nel mezzo interstellare e intergalattico, e cioè in un plasma, interagisce con un gran numero di elettroni liberi. Queste interazioni producono un ritardo nella propagazione dell’onda che dipende dalla sua frequenza ed è maggiore per le basse frequenze. Osservando una sorgente a diverse frequenze si può quindi costruire la curva di ritardo e risalire alla quantità di elettroni con cui l’onda ha interagito nel tragitto tra la sorgente e l’osservatore. Conoscendo poi le densità di elettroni tipiche del mezzo interstellare e intergalattico nella direzione della sorgente si può ricavare la sua distanza. Per i 4 FRB osservati a Parkes e per quello osservato ad Arecibo, si sono ricavati valori che li pongono, appunto, ben al di fuori dalla nostra galassia, a distanze cosmologiche dell’ordine del gigaparsec. Un’altra informazione che si può estrarre dai dati già disponibili è una stima della frequenza con cui avvengono questi lampi. Essa si ricava calcolando il tempo di osservazione dedicato alla loro ricerca, la sensibilità della ricerca, l’area di cielo ispezionata e il numero di eventi registrato. Ne consegue una stima di diverse migliaia di eventi al giorno in tutto il cielo! Sembrano tanti ma non lo sono (per chi li cerca), in considerazione del fatto che i radiotelescopi attrezzati per farlo sono pochi e non hanno un grande campo di vista.
Cosa sono i FRB? Ancora non lo sappiamo. La strategia degli astronomi, naturalmente, è quella di organizzare campagne di follow- up nella speranza di ottenere osservazioni multibanda a ridosso dei lampi radio per associar loro una controparte, vista variare anche a un’altra frequenza. Il primo tentativo, in occasione di un FRB registrato nel maggio 2014, ha visto coinvolti 12 telescopi operanti dall’X al radio ma non ha portato all’identificazione della controparte. Ma la caccia è appena incominciata...

Intanto i teorici si sono già scatenati con diverse ipotesi, da quelle “classiche” a quelle “esotiche”. Sono stati suggeriti merging di particolari nane bianche o stelle di neutroni; flare giganti da magnetar; Core Collapse Supernovae o anche collisioni che coinvolgono assioni, oppure il loro decadimento; e ancora stringhe cosmiche super-conduttrici oscillanti in campi magnetici.

Tratto da Le Stelle n° 141


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