Nel 2007 il Gruppo 2003 per la ricerca scientifica pubblicò “La ricerca tradita: Analisi di una crisi e prospettive di rilancio”: un primo bilancio assai negativo della ricerca pubblica e privata in Italia. Qual è la situazione della ricerca in Italia quasi dieci anni dopo? Potremmo dire la stessa o forse peggio che nel 2007, vista anche la crisi economica intervenuta nel frattempo. Per usare le parole di allora di Guido Tabellini: “I numeri non suggeriscono nessun ottimismo”. A meno che, con dieci anni di ritardo, non sia arrivato il momento del cambio di rotta, da tempo invocato dal Gruppo 2003, agendo soprattutto su:
- “un aumento significativo, programmato, non episodico del finanziamento statale” che porti la ricerca a un livello europeo;
- fondi aggiuntivi - e non sottratti alla normale amministrazione - per finanziare i più meritevoli;
- creazione di una o più agenzie indipendenti dalla politica, sulla falsariga dei National Research Council britannici, in grado di valutare e finanziare i gruppi di ricerca migliori, nelle università e negli enti.
Questa in breve la ricetta delineata dal Gruppo 2003 già nel Manifesto e riproposta nel Convegno del 10 febbraio 2016 al CNR (qui per seguire lo streaming).
Il 2015 si è chiuso, nelle ultime statistiche OCSE, confermando a livello internazionale una flessione degli investimenti pubblici in ricerca che si protrae dal 2010. In questo quadro l’Italia si distingue per una discesa costante, che mette a rischio di sottofinanziamento cronico l’intero settore della ricerca pubblica, ai limiti del soffocamento.
La spesa totale in ricerca sul PIL nell’area OCSE è cresciuta del 2,1% (meno che nell’anno precedente: 2,8%), soprattutto grazie alla crescita costante della quota del privato (+2,8%). L’investimento in ricerca in Italia è passata all’1,13% sul PIL del 2007 al 1,29% del 2014, ma con PIL calante.
Il confronto con gli altri paesi scelti come termine di paragone mostra come l’Italia sia ancora lontana dai paesi più avanzati, e dalla media europea di quasi il 2% di PIL.
La fonte di finanziamento è per il 44,8% di origine industriale; per il 41,9% di origine pubblica, e per il 9,50 proveniente dall’estero (media 2010-2013). Rispetto al triennio precedente si registra un aumento del finanziamento privato e estero, mentre diminuisce il finanziamento pubblico. Negli anni, quindi, in Italia la componente industriale dell’investimento in ricerca è cresciuta rispetto a quella pubblica, ma non abbastanza per colmare il grande divario rispetto agli altri paesi considerati.
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La spesa dei pochi fondi a disposizione si ripartisce, per lo 0,70 del PIL verso la ricerca industriale, per lo 0,18 verso la ricerca degli enti pubblici, e per lo 0,36 verso la ricerca universitaria (media 2011-2014).
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In termini reali, la spesa complessiva oscilla fra i 19 e i 20 miliardi di euro (circa 8 dal pubblico). Per confrontare con due paesi con popolazione simile alla nostra, la Francia investe all’anno in ricerca e sviluppo circa 48 miliardi di euro, la Gran Bretagna circa 31 miliardi di euro. La Samsung investe in ricerca 12,5 miliardi di euro all'anno...
La spesa procapite in ricerca (in dollari, anno 2013) ammonta a:
- 1490 in Svezia;
- 1440 in USA;
- 1250 in Germania;
- 908 media OCSE;
- 880 in Francia;
- 700 media europea (28 stati);
- 650 in Gran Bretagna;
- 460 in Italia;
- 415 in Spagna.
http://stats.oecd.org/Index.aspx?DataSetCode=MSTI_PUB
Il governo disinveste in ricerca. Se la spesa privata è inadeguata, anche se in leggera crescita, la spesa pubblica in ricerca si contrae da anni. Dall’analisi dei bilanci dello stato, questa tendenza emerge chiaramente considerando la missione 17 (Ricerca e innovazione) e la missione 23 (Istruzione universitaria). Dal 2008 al 2014 la spesa della missione 17 è passata da 4 mld a 2,8 mld. La spesa della missione 23 è passata invece da 8,6 mld a 7,8 mld.
Nel complesso delle 34 missioni in cui si articola il bilancio dello stato - come ha spiegato la Ragioneria dello Stato in una audizione al senato - “le missioni maggiormente ridimensionate nel periodo considerato sono, nell'ordine, la missione Istruzione universitaria (-19,9 per cento in media), la missione Fondi da ripartire (-14,5 per cento in media) e la missione Ricerca e innovazione (-12,17 per cento in media)”.
La ricerca pubblica degli enti e dell’università è stata dunque consapevolmente l’attività più ridimensionata, a favore delle politiche del lavoro, dello sviluppo territoriale e della innovazione industriale (vedi articolo sugli effetti drammatici dei tagli alle università italiane).
Anche per gli anni a venire i conti non migliorano, né per la Ricerca, né per l’Università: si veda Il bilancio dello Stato 2015-2017 Una analisi delle spese per missioni e programmi (pdf).
L’entità e il peso relativo degli investimenti in ricerca si ripartisce in modo assai disuguale nel Paese, fra le Regioni. Il divario fra Nord e Sud è drammatico, ma anche all’interno del Nord e Centro Italia si osservano notevoli differenze. Paradigmatico il caso della Lombardia, più vicino per certi versi alla situazione della ricerca oltralpe, dove, oltre al peso maggiore del finanziamento industriale, si osserva che la metà di tutti gli investimenti riguardano il no-profit .
Regione | Istituzioni pubbliche | Istituzioni private non profit | Imprese | Università | Totale |
---|---|---|---|---|---|
Piemonte | 3,4 | 12,2 | 17,0 | 6,0 | 11,9 |
Valle d'Aosta | 0,1 | 0,5 | 0,1 | 0,1 | 0,1 |
Lombardia | 9,6 | 49,0 | 27,4 | 13,5 | 21,6 |
Provincia autonoma di Trento | 3,1 | 1,3 | 1,3 | 1,4 | 1,6 |
Provincia autonoma di Bolzano | 1,1 | 0,6 | 0,7 | 0,3 | 0,6 |
Veneto | 4,1 | 2,4 | 9,5 | 7,0 | 7,9 |
Friuli-Venezia Giulia | 2,6 | 1,2 | 2,5 | 2,6 | 2,5 |
Liguria | 4,7 | 1,4 | 2,8 | 2,4 | 2,9 |
Emilia-Romagna | 6,8 | 2,2 | 13,7 | 9,6 | 11,2 |
Toscana | 5,2 | 3,7 | 5,9 | 8,6 | 6,5 |
Umbria | 0,6 | 0,4 | 1,9 | 0,9 | |
Marche | 0,5 | 1,5 | 2,3 | 1,5 | |
Lazio | 40,0 | 12,2 | 8,0 | 14,0 | 14,3 |
Abruzzo | 1,3 | 0,6 | 0,9 | 2,2 | 1,3 |
Molise (a) | 0,1 | 0,2 | 0,2 | ||
Campania | 5,9 | 6,6 | 4,6 | 9,4 | 6,2 |
Puglia | 3,0 | 3,7 | 1,4 | 5,2 | 2,8 |
Basilicata | 1,0 | 0,2 | 0,4 | 0,3 | |
Calabria (a) | 0,6 | 0,1 | 0,8 | ||
Sicilia | 3,9 | 2,2 | 1,9 | 7,2 | 3,7 |
Sardegna | 2,3 | 0,1 | 0,1 | 2,8 | 1,2 |
I fondi per la ricerca competitiva. La struttura dei finanziamenti pubblici alla ricerca si compone del fondo ordinario all’università (FFO), del fondo ordinario agli enti (FOE), di finanziamenti competitivi (PRIN) e (FIRB) a università ed enti e di finanziamenti alla ricerca industriale (FAR). A fronte di un costante declino dei fondi ordinari, si osserva un altro aspetto: la scarsità dei finanziamenti ai ricercatori su base competitiva, essenziali per selezionare nel paese i gruppi che svolgono ricerca i livelli più alti e possono confrontarsi a livello internazionale. Si calcola che nel bando PRIN 2012 il finanziamento per ricercatore varia da 10.000 a 261.000 per tre anni di lavoro (in media circa 24.000 euro all'anno).
Oltre a costituire veramente le briciole del finanziamento complessivo, essi sono anche erratici, come dimostra il caso dei bandi PRIN, fermi dal 2012 al 2015. Si veda a questo proposito la lettera a Nature recentemente scritta da Giorgio Parisi.
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Dati PRIN e FIRB in milioni di euro
2001 | 2002 | 2003 | 2004 | 2005 | 2006 | 2007 | 2008 | 2009 | 2010 | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | |
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
PRIN | 126 | 134 | 137 | 137 | 131 | 82 | 110 | 96 | 106 | 100 | 75 | 39 | 92 | ||
FIRB | 155 | 137 | 85 | 39 | 50 | 90 | 92 | 8 | 32 | 30 |
Diversa la situazione in altri paesi, dove i bandi competitivi alimentano costantemente e adeguatamente la ricerca di qualità.
Significativa è la situazione della Gran Bretagna, che con i suoi sette Research Council finanziano i ricercatori con 3 miliardi di sterline all’anno. Ciascuno dei sette RC ha prodotto un Impact Report, dove si rende conto in termini concisi dei benefici monetizzabili per la salute, la società, l’ambiente, la cultura e l’economia del paese. Tali finanziamenti, erogati su base certa e regolare, hanno, per esempio sostenuto la ricerca di 2.500 imprese, di cui 1.000 piccole imprese; costituiscono inoltre un supporto fondamentale e una palestra per le performance dei ricercatori britannici nei progetti europei (si veda: http://www.rcuk.ac.uk/media/news/impact/).
Anche la Germania eroga molti d finanziamenti competitivi attraverso organismi come la German Research Foundation (DFG): la più grande agenzia di finanziamento della ricerca d’Europa che riceve fondi dai Laender e dal governo federale. Si occupa di finanziare progetti di singoli ricercatori su base competitiva, di promuovere i migliori studiosi, di incentivare la collaborazione fra ricercatori e di fornire consigli in merito a temi scientifici a governi e istituzioni pubbliche. La valutazione della ricerca e dell’innovazione è condotta principalmente dalla Commissione di Esperti sulla Ricerca e l’Innovazione (EFI).
In Francia Nel 2005 è stata creata l’Agenzia Nazione della Ricerca (ANR), che distribuisce fondi per la ricerca e l’istruzione su base competitiva, tramite processi di peer-review svolti da esperti internazionali. I finanziamenti variano da 400 a 900 milioni di euro l’anno.
In Spagna è ora n discussione la nascita di una Agenzia per la valutazione e il finanziamento della ricerca competitiva.
In Finlandia l’Academy of Finland finanzia la ricerca scientifica tramite peer-review spesso affidate a esperti internazionali, e raggruppa quattro Research Council, ciascuno attinente a un’area tematica
Negli Stati Uniti i due pilastri della ricerca americana, il National Institute of Health (NIH) e la National Science Foundation (NSF), valutano e finanziano la ricerca competitiva.
Serve un’Agenzia. In Italia non esiste un’Agenzia di questo genere, indipendente dal Ministero, che possa gestire un budget per finanziare la ricerca competitiva con valutazioni ex ante. La richiesta del Gruppo 2003 è appunto di istituire una Agenzia di questo tipo, dipendete dalla presidenza del Consiglio. Attualmente esiste in Italia l’ANVUR, che, al pari di analoghe agenzie negli altri paesi valuta ex post la qualità della ricerca degli enti e delle università. In base a questa valutazione viene erogata la quota premiale dell’FFO e del FOE, pari attualmente per l’FFO al 20%. L’ANVUR si occupa anche dell’abilitazione nazionale e di altre funzioni, con un budget e personale davvero limitato rispetto alle corrispettive agenzie straniere.
AGENZIE | STAFF | Assicurazione qualità didattica università, con visite a istituzione e/o corsi | Valutazione della ricerca | Abilitazione dei docenti | Accreditamento corsi di dottorato | Valutazione attività amministrative università e enti |
---|---|---|---|---|---|---|
HCERES Francia | 190 di cui circa 100 professori distaccati + Esperti | Sì | Sì, tramite visite ai dipartimenti | NO | NO | NO |
QAA UK | 170 + Esperti | Sì | NO compito HEFCE, valutazione REF | NO | NO | NO |
ANECA Spagna | 90 + Agenzie regionali +Esperti | Sì | NO | Sì gestione intero processo | Sì | NO |
ANVUR | 19 + 7 membri board full time + Esperti | Sì | Sì, valutazione VQR, simile a REF | Sì, solo definizione parametri e valutazione commissari | Sì | Sì |
Ricercatori. A poche risorse corrispondono pochi ricercatori. Nel 2013 operava in Italia un numero di ricercatori pubblici e privati pari a 164 mila unità (4,9 ogni 1.000 occupati).
Negli altri maggiori paesi europei, la presenza di ricercatori è più numerosa e capillare: 357 mila in Francia (9,8 ricercatori per 1.000 occupati); 522 mila in Germania (8,5); 442 mila nel Regno Unito (8,7); 216 mila in Spagna (6,9). Rispetto a Francia e Germania, l’incidenza dei ricercatori è particolarmente bassa nel settore privato. Interessante anche notare come i ricercatori si distribuiscono sul territorio europeo su base regionale.
Mobilità ricercatori. La scarsa attrattività dell’Italia porta all’estero molti dei nostri ricercatori. Un vero e proprio regalo di intelligenze non compensato da ingressi di ricercatori dall’estero. Secondo recenti rilevazioni, le uscite sono pari al 16,2%, le entrate dall’estero sono ferme al 3%.
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Paradosso italiano? Ci si consola spesso dicendo che, pur con pochi ricercatori e fondi, la ricerca italiana continua a registrare risultati di tutto rilievo.
La situazione è vera solo in parte. E’ certamente vero che la produttività dei ricercatori italiani è alta. "Qualsiasi strumento si usa, la ricerca italiana è complessivamente al IV posto in Europa (…) L’Italia produce il 3,4 per cento delle pubblicazioni scientifiche internazionali e può contare su una quota analoga di citazioni, con un H Index (indicatore che misura simultaneamente sia la produttività che l’impatto dei ricercatori) pari a 515, inferiore del 30 per cento a quello britannico, di oltre il 20 per cento a quello tedesco e del 15 per cento a quello francese”. (Montanaro, Torrini, 2015).
L’impatto citazionale per milioni di dollari investiti in ricerca, per esempio, pone l’Italia addirittura al terzo posto, fra i paesi “comparator” scelti dalla Gran Bretagna.
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L’Italia risulta invece essere sesta nella quota di articoli highly cited.
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Performance meno esaltanti invece quando si passa dalle pubblicazioni al successo nei bandi più competitivi a livello europeo: gli ERC. l’Italia applica molto ma vince poco. Il tasso di successo italiano è 4,8% contro una media degli altri paesi del 10,5%. Inoltre, pochissimi ricercatori italiani restano in Italia per lo svolgimento dei progetti ERC.
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Come numero degli altri progetti europei finanziati, l’Italia è quarta. Tuttavia, Il tasso di successo delle richieste di finanziamento nel 7° Programma Quadro da parte delle strutture italiane è inferiore a quello degli altri principali paesi europei: 18,3 per cento, a fronte di una media EU28 del 20,5. Il quadro è ancora meno favorevole se si considera l’importo dei contributi richiesti. Nostre elaborazioni confermano lo scarto fra numero di progetti e totale finanziamenti anche per i primi anni di Horizon 2020.
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Discorso a parte meriterebbe la ricerca applicata e industriale, nelle sue ricadute in brevetti e altri indici di innovazione e competitività, molti dei quali negativi. I brevetti triadici, per esempio, pongono l’Italia in posizione molto defilata, con 684 brevetti, rispetto ai 5524 dell Germania, i 2520 della Francia, i 1725 della Gran Bretagna. Da notare che il numero di brevetti triadici in Italia è in discesa dal 2004 (quando erano 971).
Secondo il Bloomberg innovation Index, l’Italia si classifica 26esima su 50 paesi. Di fatto, secondo l’OCSE, il nostro paese si situa fra gli innovatori “moderati”, ben dietro locomotive come Corea del Sud, Germania, Francia e Stati Uniti.
Nell’ultimo report del World Economic Forum sulla competitività (2015-206) troviamo invece l’Italia al 43esimo posto su 158 paesi, che in realtà guadagna 6 posizioni rispetto alla precedente edizione. Fra i fattori più limitanti il debito e la burocrazia, seguiti da poca innovazione e scarso livello della educazione superiore (grafico sotto a sinistra). Quanto a prontezza nell’acquisire i vantaggi della rete, dei big data e in genere del mondo della Information e communication technology (vedi qui), l’Italia è 58esima. Rispetto ai criteri analizzati, il paese sembra pronto a trarre beneficio dall’ICT quanto a costi, capacità e infrastrutture, ma né il pubblico né il privato usa ancora adeguatamente la rete, e questo limita i benefici sociali, economici e di ulteriore innovazione che se potrebbero ricavare (grafico sotto, a destra).
Il “paradosso italiano” pare quindi essere una consolante illusione da cui converrebbe liberarci. Per usare le parole del World Economic Forum: “Migliorare l’innovazione richiede un ambiente favorevole. In particolare, investimenti sufficienti in ricerca (…); la presenza di istituti di ricerca d’eccellenza capaci di generare conoscenze di base necessarie per sviluppare nuove tecnologie; una fitta collaborazione in ricerca e sviluppo fra università e imprese, e un’adeguata protezione della proprietà intellettuale”.
Senza investire in ricerca, aumentare i ricercatori, pagarli meglio, rafforzare le fonti di finanziamento competitivi e indipendenti, l’Italia resterà un bel paese di geni isolati, ma destinata al declino.
* ha collaborato Cristina Da Rold
FONTI
- ANVUR (2014), “Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario e della Ricerca 2013”.
- Il bilancio dello Stato 2015-2017. Una analisi delle spese per missioni e programmi. XVII legislatura. Servizio del bilancio dello Senato, Marzo 2015, n. 20
- 2016 Global R&D Funding Forecast, Supplement of R&D magazine, 2016
- Aldo Geuna, Matteo Piolattoc, Research assessment in the UK and Italy: Costly and difficult, but probably worth it (at least for a while). Research Policy 45 (2016) 260–271
- Aldo Geuna, Federica Rossi, The university and the economy. Pathways to growth and economic development. Edward Elgar, 2015
- Pasqualino Montanaro, Roberto Torrini, Il sistema della ricerca pubblica in Italia. 2015
- Koen Jonkers & Thomas Zacharewicz, Performance based funding: a comparative assessment of their use and nature in EU Member States, JRC, 2015
- Leopoldo Nascia & Mario Pianta, RIO Country Report Italy 2014, Jrc, 2015
- ISTAT, Ricerca e sviluppo in Italia Anno 2013, ISTAT Dicembre 2015
- Eurostat Science and technology http://ec.europa.eu/eurostat/web/science-technology-innovation/statistics-illustrated
- OECD, Main Science and Technology Indicators http://www.oecd.org/sti/msti.htm
- OECD, Science, Technology and Industry Scoreboard http://www.oecd.org/sti/scoreboard.htm
- Klaus Schwab, The Global Competitiveness Report 2015-2016, World Economic Forum
- www.gruppo2003.org
- www.scienzainrete.it
- www.roars.it