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ERC 2019: per vincerli bisogna emigrare?

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Lo European Research Council è un programma di finanziamento della ricerca attivo dal 2007 con l'obiettivo di incoraggiare la ricerca di alta qualità in Europa attraverso bandi competitivi che riguardano tutte le discipline: scienze della vita, scienze fisiche, scienze sociali. Dal primo gennaio 2020, il nuovo presidente è l'italiano (ma attivo scientificamente all'estero) Mauro Ferrari. Lo schema del finanziamento prevede tre linee principali: Starting grant, riservato a giovani; Consolidator, rivolto a scienziati che hanno completato il phd da qualche anno; Advanced, diretto a ricercatori che hanno già guidato team di ricerca. Per l'Italia potrebbe essere una fonte prestigiosa di finanziamento, anche se limitata a pochi ricercatori. Le capacità degli scienziati ci sono (infatti gli italiani all'estero vincono parecchi bandi) ma il sistema italiano sembra inadeguato attrarre questo tipo di fondi (anzi, a dar retta a recenti polemiche sembra addirittura respingerlo come nocivo al sistema). I dati del 2019 sono lo specchio della situazione: l'Italia, oltre a scontare il cronico sottofinanziamento interno, è sempre meno competitiva a livello internazionale. Gli scienziati italiani invece riescono a emigrare e vincere, ma la concorrenza è sempre più agguerrita. Immagine: intervista a Mauro Ferrari, presidente di ERC.

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Mentre in Italia si dibatte più o meno a proposito dell'utilità dell'European Research Council (ERC) (qui l'editoriale su Corriere della Sera di Walter Lapini e qui la risposta di Gianfranco Billari e del rettore della Bocconi Gianmario Verona) si comincia ad avere un quadro pressoché completo di come sono andati i grant ERC 2019. E se i ricercatori italiani tutto sommato "se la cavano", il sistema Italia ne esce con le ossa rotte. Da questo punto di vista, il nuovo presidente dell'ERC, l'italiano Mauro Ferrari, emigrato per costruirsi una carriera all'estero, rappresenta perfettamente l'anomalia italiana. Ecco, al momento, il panorama nazionale dei più ambiti bandi della ricerca europea.

Consolidator grant

Di nuovo male le istituzioni italiane nella capacità di attrarre ricerca finanziata dall'Europa nel 2019 (bando 2018). Questi i risultati dei consolidator grant, assegni (2 milioni di euro per 5 anni) riservati a ricercatori con almeno 7 e fino a 12 anni di esperienza dopo il PhD: solo 7 i progetti italiani, uno nelle scienze sociali, 6 nelle scienze fisiche e ingegneristiche, 0 (zero) nelle scienze della vita. In totale la metà di quelli vinti nel 2018 (15). Un risultato che preoccupa e conferma l’inadeguatezza del sistema italiano di imporsi nei tavoli europei.

Figura 5. Vincitori consolidator grant per nazionalità dell'istituzione ospite.

Gli italiani, al contrario, riescono a vincere quando vanno all’estero: sui 23 totali (erano stati 35 nel 2018) ben 16 hanno vinto grazie al supporto di istituzioni straniere. Sono quindi il gruppo più numeroso di scienziati all’estero dopo quello tedesco ponendo il nostro paese in una situazione unica nel panorama dei grandi paesi europei: l’unica nazione in cui il numero di ricercatori vincitori all’estero è maggiore  di quello dei vincitori nel paese di appartenenza.

Figura 6. Vincitori consolidator grant per nazionalità del ricercatore. In blu chi è ospite di una istituzione del proprio paese in verde chi lavora all'estero.

 

Starting grant

Meglio la situazione degli Starting grant, i finanziamenti elargiti dall’Europa ai giovani ricercatori che hanno completato il phd da non più di 7 anni e che non hanno ancora ricoperto il ruolo di principal investigator (finanziamento per ogni singolo progetto: 1,5 milioni di euro per un periodo di 5 anni). Nel 2019 ERC ha finanziato 408 starting grant e le istituzioni italiane se ne sono aggiudicati 18.

Figura 1. Vincitori starting grant per nazionalità istituzione ospite segmentati per i tre ambiti di ricerca.

Le istituzioni vincitrici di ERC sono distribuite in 24 Paesi. L’Italia è ottava per numero di grant vinti, 18. Superata sia dagli altri principali Paesi (Germania, Regno Unito, Francia, Spagna) sia da paesi decisamente meno popolosi (Paesi Bassi, Israele, Svizzera).

Un risultato non eccellente ma comunque in risalita: nella call 2018 l’Italia era undicesima per grant aggiudicati (15).

Da notare, rispetto al 2018, la maggior capacità di attrarre grant SSH di Germania, UK e Paesi Bassi: erano già forti in questo settore e nel 2019 hanno persino vinto di più. Sembra che nella maglio parte dei Paesi le humanities, di cui pure tanto si discute, non abbiano ancora espresso piani di ricerca che siano capaci di competere a livello internazionale.

Se aumenta il numero di istituzioni italiane capaci di ospitare un grant, cala invece il numero di italiani vincitori: 37, contro 42 nel 2018. Nel 2019 la compagine italiana scende quindi di un posto, dalla seconda alla terza posizione dietro alla solita Germania (72 vincitori) alla Francia (38). Da notare che il Regno Unito occupa per numero di vincitori la 7 posizione (26): una situazione quasi speculare a quella italiana, le loro istituzioni sono molto competitive mentre i ricercatori lo sono meno.

Figura 2.  Vincitori starting grant per nazionalità e genere del ricercatore.

Come negli anni precedenti per la maggior parte i ricercatori italiani hanno vinto fuori dai confini nazionali. In questa speciale classifica (si noti la quota verde della figura 3) l’Italia è saldamente al comando da anni. Purtroppo.

Figura 3. Vincitori starting grant per nazionalità del ricercatore. In blu chi è ospite di una istituzione del proprio paese in verde chi lavora all'estero.

Dall’analisi dei flussi dei vincitori nei vari Paesi si nota la perfetta politica tedesca: tantissimi grant vinti, metà da ricercatori tedeschi metà da ricercatori provenienti da altri paesi. Anche in Italia la distribuzione è quasi 50/50 ma il numero di grant vinti non è paragonabile: una differenza che non è giustificata nemmeno se la si rapporta al maggior numero di abitanti o al PIL più elevato, come già analizzato in questo articolo ERC chiama. Italia non risponde. L’Italia appare per quello che è: un paese in crisi con scarsi investimenti in ricerca sia in campo pubblico sia in quello privato. È bene quindi che tra i grant vincitori ci siano anche questi due: “De-industrializing Societies and the Political Consequences” e “Behavioral Foundations of Populism and Polarization”, entrambi ospitati alla Bocconi di Milano.

Figura 4. Vincitori starting grant per nazionalità istituzione ospite segmentati per provenienza dei ricercatori.

La capacità di attrarre grant resta quindi scarsa mentre è alta la propensione a esportare talenti: l’Italia consolida questa tradizione di anno in anno e nulla sembra poter invertire questa tendenza. Nessun cambiamento all’orizzonte.

Advanced grant

Deludenti anche i risultati degli advanced grant 2019, asseganti a ricercatori esperti che da almeno 10 anni conducono ricerca di eccellenza. 

L'Italia è al settimo posto per progetti ospitati: sono 11 contro i 14 nel 2018. Appare inoltre un leggero sbilanciamento a favore delle scienze sociali rispetto a alle scienze della vita e alla fisica. Cala anche il numero di italiani vincitori di un grant. Sono 14, mentre era ben 23 nella precedente tornata.

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