1. Considerazioni introduttive
Sullo sfondo della progressiva emersione dell’obiettivo di adattamento ai cambiamenti climatici sul piano internazionale e sul piano eurounitario, culminata rispettivamente nell’Accordo di Parigi1 e nel Regolamento (UE) 2021/11192, nonché nelle Strategie europee di adattamento3, e sullo sfondo del quadro conoscitivo definito a livello nazionale dalla Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici4, è stato (finalmente) approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici con decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica del 21 dicembre 2023, n. 434.
Con l’approvazione del Piano è stata così avviata una seconda fase finalizzata ad assicurare l’immediata pianificazione e l’attuazione delle azioni di adattamento nei diversi settori attraverso la definizione di priorità, ruoli, responsabilità e fonti/strumenti di finanziamento dell’adattamento, nonché la rimozione degli ostacoli all’adattamento, sia riconducibili al mancato accesso a soluzioni praticabili, sia agli ostacoli di carattere normativo/regolamentare/procedurale. Siffatta fase, i cui risultati convergeranno nei piani settoriali o intersettoriali, sarà gestita da un’apposita struttura di governance, ovverosia dall’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, la cui istituzione era prevista entro tre mesi dal decreto ministeriale di approvazione del PNACC, secondo il prospetto temporale definito nel Piano.
La prima parte del Piano è riservata alla ricostruzione del quadro giuridico di riferimento, con l’indicazione dei principali atti adottati a livello internazionale, europeo e nazionale che vertono nello specifico sull’adattamento ai cambiamenti climatici e dei principi in materia ambientale e per fini di salvaguardia dei diritti umani che troverebbero applicazione anche con riferimento al tema dei cambiamenti climatici. Con il presente contributo si propone pertanto di specificare in quali termini i principi in materia ambientale rilevino in materia di adattamento ai cambiamenti climatici, nonché di meglio precisare l’intersezione tra i diritti umani e il cambiamento climatico.
2. L’adattamento ai cambiamenti climatici e i principi in materia ambientale
L’esigenza di precisare in quali termini debba intendersi il rilievo dei principi espressamente richiamati nel documento di Piano5 rispetto all’obiettivo di adattamento ai cambiamenti climatici deriva non solo dal fatto che tale aspetto appare tutt’altro che messo a fuoco, ma anche perché dal documento medesimo risulta che i principi espressamente richiamati interessino più in generale il tema del cambiamento climatico e non specificatamente l’obiettivo in questione.
Chiarito ciò, tra i diversi principi richiamati dovrebbe assumere rilevanza il principio di prevenzione. Anzi, nella misura in cui si individua l’essenza del principio nell’anticipazione delle diverse azioni di tutela al fine di scongiurare perdite irreversibili, si dovrebbe ritenere che l’obiettivo di adattamento ai cambiamenti climatici discenda (anche) da questo principio. Aderendo alla definizione offerta dall’IPCC6, così come condivisa nel Piano7, se per taluni versi l’adattamento può apparire un processo attivato esclusivamente in sede postuma, come adeguamento al constatato mutamento delle condizioni attuali del sistema climatico, per altri versi la finalità ultima del processo medesimo rimane quella di moderare, preventivamente appunto, i danni da ciò derivanti, ovvero di sfruttarne le opportunità benefiche. Peraltro, seguendo le medesime coordinate definitorie, l’adattamento andrebbe altresì inteso come un processo di adeguamento al clima, non solo attuale, ma anche previsto e ai relativi effetti, quale declinazione che mette ulteriormente in luce la natura preventiva di tale processo. Il corollario di una simile lettura dell’adattamento conduce a constatare come quest’ultimo costituisca un processo che si confronta con una dimensione di incertezza, a più riprese richiamata nei documenti che compongono il Piano, riferibile sia alla portata del mutamento delle condizioni fisiche del sistema climatico, essendo comunque variabilmente condizionata dall’efficacia delle politiche di mitigazione8, sia in ordine agli impatti stimati del mutamento medesimo9. Alla luce di queste considerazioni pertanto tra i diversi principi in materia ambientale rilevanti nell’ambito dei processi di adattamento c’è altresì il principio di precauzione, riferibile, come noto, alle ipotesi che vertono sulle probabilità di un rischio individuato nel quadro di un’incertezza scientifica, come per taluni versi potrebbe declinarsi la stima degli impatti del cambiamento climatico.
Tra gli altri principi richiamati che rilevano rispetto all’adattamento ai cambiamenti climatici va inoltre annoverato il principio dello sviluppo sostenibile, il cui fondamento si rinviene nelle stesse disposizioni dell’Accordo di Parigi, in conformità alle quali l’obiettivo dell’adattamento apparirebbe legato allo sviluppo sostenibile secondo un nesso di strumentalità10. In questo senso, quindi, a partire dalla constatata incidenza del mutamento del sistema climatico sulle condizioni favorevoli per un percorso che miri alla composizione delle istanze sottese alla tutela dell’ambiente, alla crescita economica e al benessere sociale, nelle relative diverse sfumature, l’adattamento dovrebbe essere configurato come un obiettivo strumentale a quest’ultimo valore-obiettivo. A ben osservare, si potrebbe peraltro aggiungere che il legame tra adattamento ai cambiamenti climatici e sviluppo sostenibile possa intendersi come una forma di limite del secondo rispetto al primo. Invero, coerentemente con la tradizionale lettura del principio, dallo stesso deriverebbero doveri delle generazioni attuali nei confronti delle generazioni future, che, nel caso di specie, si imporrebbero come limite alla predisposizione da parte delle prime di soluzioni di adattamento ad un clima attuale (o previsto) basate su un impiego (eccessivo) di risorse che contragga le possibilità delle seconde, ovvero che differiscano nel tempo la vulnerabilità ai cambiamenti climatici (c.d. maladaptation)11.
Indirizzando lo sguardo nei confronti dei principi di più recente gestazione, assume rilevanza il principio del DNSH, nella misura in cui tra gli obiettivi ambientali di cui all’art. 9 del Regolamento (UE) 2020/852 cui esso si riferisce è espressamente annoverato l’adattamento ai cambiamenti climatici. Sul punto, come noto, il Regolamento Delegato della Commissione 2021/2139 ha precisato i criteri di vaglio tecnico che consentono di determinare a quali condizioni si possa considerare che un’attività economica non arrechi un danno significativo all’obiettivo in questione e contribuisca in modo sostanziale al medesimo. Ebbene, ciò che potrebbe in via di mera ipotesi ritenersi è che il quadro di indirizzo così come risultante dal Piano potrebbe costituire un solido punto di riferimento ad integrazione dei richiamati criteri di vaglio tecnico, utile per comprendere se un’attività/misura si ponga nella direzione di contribuire nel territorio nazionale all’obiettivo in questione, anche considerando che le specifiche redatte a livello nazionale hanno precisato i termini del contributo sostanziale di una misura al solo obiettivo della mitigazione dei cambiamenti climatici, e non anche dell’adattamento12.
3. L’intersezione tra i diritti umani e il cambiamento climatico
Come anticipato, il PNACC affronta parimenti il tema della tutela dei diritti umani (e nella fattispecie, il diritto alla vita, il diritto alla salute, il diritto all’acqua e ad un’alimentazione adeguata, il diritto alla casa) nell’ottica dell’adattamento al cambiamento climatico. In particolare, l’Allegato I al Piano specifica che risultano rilevanti le norme del diritto internazionale convenzionale attraverso cui la comunità internazionale ha affrontato la questione le cause e gli impatti dei cambiamenti climatici (p. 11).
Poiché gli impatti riguardano i singoli territori con effetti molto differenti l’uno dall’altro, da un lato, il Piano dispone l’intervento dei livelli più alti di governo (azioni di indirizzo, coordinamento, supporto e risorse); dall’altro, in ossequio al principio di sussidiarietà, al fine di intercettare le esigenze delle comunità territoriali, il Piano dispone che le azioni vengano concretamente realizzate su scala regionale e locale (p. 12). Con riguardo, in particolare, ai diritti umani, il Piano ribadisce la sussistenza di obblighi di protezione e promozione a carico degli Stati e dei loro organi, sanciti dal diritto internazionale consuetudinario e convenzionale, oltreché dalle Carte costituzionali. A tal proposito, è notoria la giurisprudenza interna e internazionale che verte sulla violazione da parte dello Stato e dei suoi organi delle norme sui diritti umani contenute negli ordinamenti interni e nelle fonti internazionali causata dall’inerzia (o dall’insufficiente impegno) nel contrastare la crisi climatica in corso.
Le numerose controversie climatiche intersecano il tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici, che assume rilievo primario allorché gli eventi climalteranti potrebbero essere scongiurati o attenuati tramite adeguate misure di adattamento.
In sintesi, il PNACC si presenta come un manifesto di impegno al rispetto della disciplina nazionale e internazionale nella gestione del territorio minacciato dall’emergenza climatica; è questo il suo merito rispetto ai precedenti atti di pianificazione riguardanti il clima, non altrettanto espliciti nel coniugare sistematicamente cambiamento climatico e tutela del territorio nazionale in nome della vita e della salute umana in proiezione intragenerazionale e intergenerazionale. Ma ne costituisce anche il limite: difatti, il PNACC resta uno strumento di prevenzione secondaria rispetto alla prevenzione primaria dei danni da cambiamento climatico, garantita esclusivamente dalla mitigazione climatica.
Ne deriva che l’adattamento climatico è perseguito in assenza di un meccanismo conoscibile e verificabile di quantificazione delle cause da cui dipende l’efficacia stessa di quell’adattamento. Non a caso, il Parere n. 13/2021 della Commissione VIA-VAS aveva già evidenziato questa lacuna, non in linea con le previsioni normative sulla sequenza mitigazione-adattamento.
In questo modo, il PNACC rischia di tradursi nell’ennesimo documento simbolico di lotta insufficiente al degrado del territorio; prevedere i danni senza prevenirli significa esporre Stato ed enti territoriali a responsabilità future, oltre che accentuare responsabilità già presenti, dato che lo Stato italiano è soggetto di contenziosi climatici in cui si deduce, tra l’altro, proprio l’assenza di linee guida di quantificazione della mitigazione climatica necessaria a non ledere i diritti umani, tutelati dagli artt. 2 e 8 CEDU.
In conclusione, la prima occasione di applicare l’art. 9 Cost. appare – neanche troppo latamente – sprecata.
Il presente contributo è il frutto di una collaborazione tra i due autori. Il paragrafo n. 2 è stato redatto da Riccardo Stupazzini, mentre il paragrafo n. 3 da Fabio Cusano. Il paragrafo n. 1 è il frutto di una riflessione comune.
Note
1. Cfr. art. 7 dell'Accordo di Parigi. 2.
2. Cfr. art. 5 del Regolamento (UE) 2021/1119.
3. Cfr. COM(2013) 216 final e COM(2021) 82 final.
4. Decreto Direttoriale del 16 giugno 2015, n. 86, emanato dal Direttore Generale della ex DG Clima ed Energia del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
5. Nello specifico, all’interno del documento di Piano, sono espressamente richiamati i principi: di salvaguardia dell’ambiente, di prevenzione, di precauzione, del “chi inquina paga”, delle responsabilità comuni ma differenziate e rispettive capacità, di equità intergenerazionale e intragenerazionale, dello sviluppo sostenibile, di non regressione, d’integrazione, di sviluppo resiliente al clima, di conoscenza scientifica e integrità nel processo decisionale, di solidarietà, del divieto di arrecare un danno significativo all’ambiente (DNSH).
6. IPCC, Annex II: Glossary, in IPCC 2022: Climate Change 2022: Impacts, Adaptation, and Vulnerability. Contribution of Working Group II to the Sixth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, 2022.
7. Cfr. l'introduzione dell'Allegato I del Piano (Metodologie per la definizione di strategie e piani regionali di adattamento ai cambiamenti climatici).
8. Su questo si cfr. il capitolo n. 2 del documento di Piano nel quale vengono definiti i lineamenti del quadro climatico nazionale, che si compone non solo dell'analisi del clima sul periodo di riferimento 1981-2010, ma anche delle variazioni climatiche attese sul trentennio centrato sull’anno 2050 (2036-2065) rispetto allo stesso, considerando i tre scenari IPCC: RCP8.5 “ad elevate emissioni”, RCP4.5 “scenario intermedio”, RCP2.6 “mitigazione aggressiva”. Per ciascuno di essi, quindi, l'analisi degli indicatori climatici considerati è stata corredata da una valutazione delle variazioni medie attese in futuro, riportando le informazioni relative all'incertezza.
9. Su tale punto si cfr. invece l'Allegato III del Piano, che riporta il quadro delle conoscenze sugli impatti dei cambiamenti climatici in Italia. La dimensione dell'incertezza circa la stima degli impatti della variazione del regime climatico è esplicitamente richiamata, tra l'altro, con riferimento alla proiezione delle precipitazioni, alla quantificazione dell’impatto del cambiamento in atto sul ciclo idrologico, nonché alla stima della variazione di occorrenza e magnitudo dei fenomeni di dissesto.
10. Art. 7, par. 1, dell'Accordo i Parigi.
11. Si tratta di un aspetto che non è stato trascurato all'interno del Piano. Invero, le azioni di adattamento settoriali sono state valutate rispetto a cinque criteri e, sulla base di tale valutazione, è stato associato a ciascuna di esse un giudizio di valore. Tra di essi, è stato incluso il criterio dei c.d. effetti di secondo ordine, finalizzato a valutare gli effetti, positivi e negativi, che deriverebbero dall'attuazione delle azioni di adattamento che tuttavia non costituirebbero il fine principale ed esplicito. Ebbene, come risulta dalle precisazioni di cui al paragrafo n. 4.2.4 del documento di Piano, le ipotesi di effetti di secondo ordine negativi consisterebbero propriamente nella fattispecie della c.d. maladaptation.
12. Cfr. la Guida operativa per il rispetto del principio di non arrecare danno significativo all'ambiente (cd. DNSH) elaborata dal Dipartimento della Ragioneria dello Stato del MEF.