Nel corso del 2009, m’è capitato di partecipare a qualche convegno celebrativo del duecentesimo anniversario della nascita che com’è noto coincideva con il centocinquantesimo anniversario della pubblicazione del suo capolavoro, L’origine delle specie. Ricordo che uno, forse non esattamente celebrativo nei suoi intenti, ebbe luogo presso una pontificia università: la prolusione venne tenuta da un eminente cardinale, che ritenne opportuno passare in rassegna i principali temi in discussione, come si suol dire: in altre e più prosaiche parole, ci ricordò quali dovevano essere secondo lui, le linee guida della discussione. Mi colpì una sua affermazione: “Ma guardate che Darwin di errori ne ha fatti, eccome….” , e accompagnò gli efficaci puntini di sospensione con un grave agitare dell’indice e un sorriso di benevola comprensione. Finì e se n’andò, lasciandomi piuttosto deluso perché speravo proprio di sentire in che cosa il vecchio Darwin avesse sbagliato agli occhi di Sua Eminenza. Ma al convegno non lo si vide più: quando venne il turno della mia presentazione e nel corso delle discussioni formali e meno, chiesi esplicitamente qualche lume a riguardo degli errori di Darwin, ma i lavori si chiusero senza le indicazioni tanto attese e non solo da me.
Più di recente su uno dei nostri maggiori quotidiani, è apparsa un’intervista a Massimo Piattelli Palmarini, che insegna linguistica negli USA: pubblica testi magistralmente intitolati, non si sa se da lui o dai suoi editori (ricordo La voglia di studiare). Ogni tanto si lascia trascinare in polemiche ai limiti dell’ortodossia, e qui va bene, ma a volte oltre i limiti della coerenza e della competenza, e qui va meno bene. Adesso è impegnato a lanciare su scala mondiale la sua ultima fatica What Darwin got wrong, in italiano In che cosa Darwin sbagliava: ancora una volta mi sono incuriosito in relazione agli errori che Darwin avrebbe commesso, secondo il linguista: la sua intervista era un attacco a tre “socio-cultural-darwinisti” che evidentemente non piacciono al nostro. La mia attesa di lumi rischiava un’altra frustrazione; e non è risultata appagata neppure da un lungo commento di Luca Cavalli Sforza sullo stesso quotidiano: bacchetta il nostro disinvolto aspirante evoluzionista (autodefinitosi “anti neo-darwinista ateo”), ma neppure dal suo dotto saggio si ricavano indicazioni su quali siano stati gli errori di Darwin. Possibile che non ne avesse fatto neanche uno? Finalmente esce un pezzo di Gabriele Milanesi, che insegna biologia a Milano. Dalle pagine di Tuttoscienza di un importante quotidiano nazionale, anche lui striglia Piattelli- Palmarini (è diventato uno sport nazionale), ma non ci spiega in che cosa avrebbe sbagliato nel criticare … gli sbagli di Darwin. Tralascio altri commenti, orientati anche questi più sugli errori di Piattelli Palmarini che su quelli di Darwin. Anche perché vorrei dare il mio modesto contributo alla dotta discussione e cercare di dare qualche indicazione meno marginale su questi benedetti errori commessi da Darwin nell’esposizione della sua rivoluzionaria descrizione dell’origine delle specie. Di errori Darwin certamente ne ha fatti, sia per negligenza e per incomprensione: tralasciamo quello che non poteva sapere per questioni cronologiche, ma una lettura dei suoi scritti, almeno dei suoi due, tre libri più importanti e un necessario aggiornamento dello stato della biologia di allora, ci tranquillizzano. I suoi errori sono pochi e lievi.
Tra gli errori di negligenza, il più serio consiste nel fatto che Darwin, solerte scrittore, ma pigro lettore (almeno secondo il suo biografo Howard), pare non avesse neppure aperto il manoscritto inviatogli da Mendel, lo scopritore delle omonime leggi genetiche. Comunque, anche se l’avesse fatto, non le avrebbe capite, come tutti (e con tutti si intende l’intera comunità scientifica, tranne naturalmente Mendel) continuarono a fare per 3-4 decenni a seguire. Darwin quindi ignorava la genetica e spiegava la biodiversità soprattutto come un prodotto delle variazioni dell’ambiente: ma oggi sappiamo che i genomi cambiano anche in ambienti costanti. Sappiamo anche che i genomi sono fatti per la maggior parte di DNA instabili che mutano, in modo sia casuale, sia programmato, ma mai finalizzato: quindi neppure i virus mutano “a loro vantaggio”, come si lascia scappare Piattelli Palmarini. La selezione naturale opera sugli effetti delle inevitabili mutazioni: la grande scoperta di Darwin riguarda proprio l’importanza della selezione; il suo errore più grave è consistito nel non riuscire minimamente immaginare i meccanismi di insorgenza delle mutazioni, che sono il motore principale dell’evoluzione. Se non ci fossero le mutazioni non ci sarebbe evoluzione: la mancanza di selezione invece non escluderebbe qualche forma di evoluzione almeno temporanea, sino a saturazione delle nicchie ecologiche e delle risorse disponibili. Poi scatterebbe la selezione.
Ne deriva quindi che l’evoluzione, almeno secondo alcuni studiosi di poco successivi a Darwin, come il tedesco Häckel, andrebbe attribuita al francese Lamarck, che ne aveva parlato 50 anni prima e le cui conclusioni sugli effetti dell’”uso e disuso” Darwin doverosamente accetta e correttamente elabora ne L’origine delle specie (Cap. 5). A Darwin va riconosciuta la scoperta della selezione naturale. Ma qui si tratta dell’evoluzione che ha portato ai nostri antenati scimmieschi, ai primati non umani, e infine all’uomo: ma l’evoluzione biologica che è stata responsabile quando comparve l’uomo praticamente cessò: per la precisione cessò quando il primo cavernicolo incominciò a parlare, secondo lo scrittore americano T. Wolfe. Da allora è partita la sua evoluzione culturale, oggetto di accademici, insanabili e compiaciuti dibattiti tra psicologi evolutivi e cognitivisti.
Un altro errore di Darwin è la teoria della “pangenesi”, cioè dell’origine degli organismi complessi: una conoscenza più approfondita della biologia cellulare, allora rigogliosa, poteva instillargli qualche dubbio. Invece continuò a gingillarsi con le sue “gemmule” che dai vari tessuti somatici avrebbero convogliato al sistema riproduttivo le istruzioni genetiche che codificavano per cuore e fegato, capelli e occhi, muscoli e cervello di ciascuno di noi, e che ciascuno di noi riproducendosi sessualmente passa alla progenie, anche attraverso il rimescolamento che questa comporta. Da notare che questo l’aveva già descritto, poeticamente sin che si vuole, ma con straordinaria intelligenza, il poeta latino Tito Lucrezio Caro nel suo De rerum natura, uno dei primi trattati di biologia della cultura occidentale.
Forse altri errori si potrebbero elencare a carico del pensierosi Darwin, ma lascio volentieri ad altri la loro puntigliosa individuazione. Il bello è che oggi la biologia gli riconosce qualcosa più d’un pizzico di verità per entrambi gli “errori”. E “i colleghi che gli sparano contro” come dal titolo dato al saggio di Cavalli Sforza, forse farebbero bene a leggerselo, almeno in bigino. Ma mi piace ricordare che la sua genialità forse venne aiutata dalla sua pigrizia, che gli risparmiò inutili letture e dannosi condizionamenti da teorie che anche allora venivano pubblicate. Quasi come adesso.
Comunque se ne potrebbe concludere che tutto sommato Darwin qualche buona idea sull’origine della vita, oltre che sull’origine e sull’evoluzione delle specie, l’aveva concepita, anche se non in modo del tutto originale: a riguardo si legga il libro di Federico Focher L’uomo che gettò nel panico Darwin, in cui si racconta di come Edgar Wallace, in modo del tutto indipendente, fosse riuscito a elaborare una teoria dell’evoluzione pressoché identica a quella di Darwin, e quasi arrivò di pubblicarla prima di lui. Di qui il panico di Darwin e dei suoi seguaci. Ma oramai quando si parla di evoluzionismo, si parla di Darwin, non di Wallace, né di Lamarck. È come se ai suoi tempi Darwin avesse avuto il supporto dei mass-media. E in effetti l’aveva avuto: aveva potuto contare su una cerchia d’amici che comprendeva il meglio della scienza dell’epoca, in patria e fuori. E questo è un supporto che non arriva mai gratis: è il suggello del genio.
Ma non si può ignorare del tutto un aspetto negativo del quadro che sarebbe bene farsi del nostro: un aspetto non esattamente esaltante, e comunque da un punto di vista non tanto scientifico quanto comportamentale. A Darwin si può rimproverare una sorta di cerchiobottismo politico-religioso. Era rivoluzionario nelle idee scientifiche, progressista in quelle politiche e sociali, moderato nella loro difesa (l’affidava al suo fedele portavoce T. H. Huxley e ad altri), conservatore in famiglia, agnostico in materia di religione. Siccome era un grafomane, nelle sue 13.000 lettere e 16 libri, si può trovare davvero di tutto; e nell’Autobiografia di suo pugno a proposito di fede scrisse: “l’incredulità si insinuò in me lentissimamente, ma alla fine fu totale. … Davvero, m’è quasi incomprensibile come ci si possa augurare che il cristianesimo sia nel vero. … E questa è una dottrina esecrabile”. Viene il sospetto che questi siano gli errori di Darwin cui si riferiva il Rettore della Pontificia Università di cui si parlava all’inizio. Comunque Darwin nel 1882 col consenso attivo dei suoi collaboratori, anche dei più intransigenti in materia di fede, fu pomposamente tumulato nell’Abbazia di Westminster. Anche la scienza ha le sue ragioni di stato.