fbpx Come spenderei i soldi di Obama | Scienza in rete

Come spenderei i soldi di Obama

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins
Arriva al Pronto Soccorso del mio Ospedale un ammalato con un ictus del cervello. Si esprime con difficoltà, non muove bene un braccio e nemmeno una gamba. Un trombo in un'arteria sottrae al suo cervello parte dell'ossigeno. Si deve fare un trattamento e con ogni probabilità lo si deve fare subito ma trattamenti ce ne sono diversi. Su che base il suo dottore sceglierà il trattamento A piuttosto che il trattamento B? A rigore di logica si dovrebbe scegliere il trattamento che darà a questo ammalato la migliore probabilità di sopravvivere o addirittura di guarire ma un medico che sia informato e conosca tutta la letteratura quale sia questo trattamento non può saperlo, ed è così per la maggior parte delle malattie. Il Presidente degli Stati Uniti e quelli che con lui lavorano per la riforma del Sistema Sanitario se n'è accorto. E' appena passata una legge che assegna 1,1 miliardi di dollari al Sistema Sanitario degli Stati Uniti per comparare fra loro l'effetto dei vari trattamenti con l'idea di valutare - malattia per malattia - quello che a parità di efficacia costa meno, che spesso non è l'ultimo farmaco messo in commercio ma farmaci che sono in circolazione da tempo, quasi sempre usciti dal brevetto di cui si conoscono però molto bene pregi e difetti (che per i farmaci vuole dire effetti indesiderati anche gravi). Questi soldi verranno divisi fra tre agenzie che distribuiranno i fondi privilegiando le malattie che gravano di più sulla salute della gente. Finora la distribuzione dei fondi per la ricerca sui farmaci era influenzata molto da diverse lobbies incluse quelle dell'industria e chi era più organizzato nel presentare ai membri del congresso le proprie esigenze finiva per ottenere più soldi. Comparare i farmaci e scegliere quello che a parità di efficacia costa meno avrà una ricaduta positiva sulla salute della gente e consentirà grandi risparmi (il sistema sanitario negli Stati Uniti costa più di 2000 miliardi di dollari per anno). Più di un miliardo di dollari per comparare farmaci per la stessa indicazione a noi sembra tantissimo, ma uno studio clinico controllato di certe dimensioni può costare 10, anche 20 milioni di dollari. Un nuovo farmaco anti cancro costa centinaia o migliaia di dollari e prolunga la vita di pochi mesi. Gli stessi soldi potrebbero aiutare migliaia di persone ad evitare il cancro o tanti ammalati che il cancro ce l'hanno già a vivere meglio gli ultimi anni della loro vita. Quando si comparano trattamento A e trattamento B, il trattamento A può essere meglio per la popolazione, ma i medici curano gli ammalati, non le popolazioni e per chi ha certe caratteristiche genetiche potrebbe essere meglio il trattamento B. Anche questo si vorrebbe fare con i soldi di Obama, un altro modo per dare cure migliori e risparmiare. Quello dei farmaci è solo un esempio. La legge di Obama prevede che si spendano più di 19 miliardi di dollari per la tecnologia informatica applicata alla prevenzione e alla cura delle malattie. 17 miliardi di dollari solo per gli Ospedali perché tutti riescano finalmente ad utilizzare la stessa cartella clinica. Insomma al di là dell'oceano i politici hanno capito che un modo per uscire dalla crisi ed avere a lungo termine anche dei vantaggi è quello di investire in educazione e tecnologia attraverso il finanziamento alla ricerca scientifica. Solo per la ricerca scientifica ci sarà nei prossimi due anni un "incentivo" di 15 miliardi di dollari in più. 3 andranno alla National Science Foundation e 3,5 al National Institute of Health. "E' poco" si lamenta in un editoriale di Nature Cell Biology Elias Zerhouni che è stato direttore dei National Institutes of Health fino a pochi anni fa, ma è comunque un modo per partire. E' chiaro che negli Stati Uniti la crisi è un'opportunità, non si sarebbero mai potuti lanciare così in fretta programmi tanto ambiziosi nel campo della salute se non sotto la spinta della crisi economica.

Torniamo in Italia, pensiamo a quante cose si potrebbero fare se qualcosa del genere si facesse anche da noi. Ma è necessario che gli scienziati si mettano insieme tutti con qualche politico illuminato per provare a far capire al governo che il modo di uscire dalla crisi è quello di lanciare progetti di ricerca nel campo delle scienze della vita, della fisica, della matematica, dell'agricoltura, dell'ambiente e nel campo delle scienze sociali. Si creerebbero nuovi posti di lavoro e il governo potrebbe realizzare grandi risparmi e ridurre il deficit.

Perché non ci proviamo, noi del Gruppo 2003, e chiunque altro abbia voglia di mettersi con noi?


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.