Prendo volentieri spunto dall’articolo di Massimo Mucchetti dello scorso 17 settembre (Un’Agenzia nazionale per la ricerca contro la burocrazia e le clientele), per richiamare l’attenzione su una novità intervenuta negli ultimo giorni, e che può forse contribuire a dare con ancor maggior chiarezza il senso della posta in gioco in questi giorni.
Tra gli emendamenti al ddl Gelmini approvati in Commissione Istruzione, vi è quello che costituisce il Comitato Nazionale di Garanti per la Ricerca. Composto da soli 7 membri, studiosi italiani o stranieri di fama internazionale, scelti con un metodo condivisibile (un search committee autorevole nominato sulla base di una forte componente internazionale), questo organismo avrebbe il compito di coordinare le procedure di selezione dei progetti di ricerca delle Università e negli enti di ricerca pubblici e privati, utilizzando il meccanismo di peer-review.
Senza aggravio di spesa, unificando e semplificando procedure prima suddivise tra più commissioni, si introdurrebbe in tal modo uno strumento in grado finalmente di dare garanzie, sulla base di criteri e metodi già collaudati nelle realtà internazionali più avanzate, per un più efficace utilizzo delle risorse pubbliche nel finanziamento della ricerca scientifica. Con prevedibili ricedute in termini di maggior competitività e miglior reputazione internazionale del nostro Paese.
Non si tratta ancora di un’Agenzia nazionale, ma è certo un primo passo, un’opportunità che, nelle condizioni in cui siamo, senso di responsabilità e buon senso raccomandano di non lasciar cadere.
E’ certamente legittimo chiedersi se questa riforma disegni l’università utopica dei nostri sogni: un’università così come era nelle proposta dal Gruppo 2003, con l’abolizione del valore legale del titolo di studio, l’eliminazione dei concorsi e così via. La riforma proposta dal Ministro Gelmini non corrisponde a tutte le nostre attese. Tuttavia contiene – e in queste ore non lo si ripete mai abbastanza - forti elementi di innovazione. Auspicabili e di certo benvenuti. Di essi, il più importante è il taglio meritocratico: più finanziamenti a chi fa bene, meno a chi fa poco e male, un nuovo scenario che l’istituzione del Comitato dei Garanti per la Ricerca, se la riforma fosse approvata, potrebbe appunto inaugurare. E ancora, la possibilità per gli Atenei che se la sentono, di camminare con governance diversa. Certamente la riforma è migliorabile in alcuni punti, ma rappresenta nel suo insieme un’occasione irripetibile per mettere finalmente mano in maniera organica al sistema universitario del nostro Paese. Certamente la riforma di per sé non basta. Molte sono le cose di cui abbiamo bisogno per iniziare un percorso che doti l’Italia di un sistema di ricerca competitivo, confrontabile con quello dei paesi sviluppati. È necessario ad esempio rimuovere i lacci e lacciuoli che rendono così macchinosa la gestione degli Enti di Ricerca, e tanto difficile il reclutamento di cervelli, promuovere e rilanciare la ricerca industriale e il rapporto fra ricerca accademica e trasferimento tecnologico e, naturalmente, investire di più in ricerca e istruzione superiore. La strada che ci aspetta insomma è sicuramente lunga, e non priva di difficoltà. Ma se lasciamo cadere l’occasione di questa riforma diventa difficile persino muovere i primi passi.