Ha un nome singolare, “leucemia a cellule capellute” (“hairy cell leukemia” per gli autori anglosassoni), che gli deriva dalle sue peculiari caratteristiche morfologiche e cioè dalla presenza di numerosi estroflessioni (“peli”) evidenziabili al microscopio sulla superficie delle cellule leucemiche (Figura 1). Grazie a questa proprietà, le cellule leucemiche infiltrano preferenzialmente alcuni organi, tra cui il midollo osseo e la milza. Per cui, il paziente con questa malattia spesso si presenta all’osservazione del medico per una notevole riduzione delle cellule normali del sangue che lo espongono al rischio di infezioni e per un ingrandimento della milza che può raggiungere dimensioni tali da occupare gran parte della cavità addominale. La leucemia a cellule capellute risponde bene alla somministrazione di farmaci chiamati “analoghi delle purine” (pentostatina e cladribina).
Figura 1. Cellula leucemica capelluta
al microscopio confocale (immagine
fornita dal Prof. Ildo Nicoletti,
Università di Perugia).
Nonostante, la leucemia a cellule capellute fosse riconosciuta oramai da oltre 50 anni come una malattia a se stante, fino a pochi mesi or sono si ignorava quali ne fossero le lesioni genetiche causali. I citogenetisti che studiano il numero e la struttura dei cromosomi non erano riusciti a identificare alcuna alterazione specifica di questa malattia. Per risolvere il problema, non rimaneva che andare ad analizzare direttamente (sequenziare) tutte le lettere dell’alfabeto del DNA delle cellule leucemiche capellute nel tentativo di verificare se ci fossero dei minimi errori (mutazioni) a quel livello. Confrontando, in un malato con leucemia a cellule capellute, le sequenze delle lettere chimiche (basi) del DNA delle sue cellule malate e di quelle sane, è stata identificata una mutazione che colpisce un gene chiamato BRAF.
Sicuramente, la cosa più sorprendente di questa scoperta è che la mutazione di BRAF risulta presente in tutti i casi di leucemia a cellule capellute finora analizzati e sempre nella stessa posizione (V600E), indicando che essa rappresenta con alta probabilità la lesione genetica causale della malattia. Queste caratteristiche richiamano per molti aspetti quelle osservabili nella leucemia mieloide cronica, un'altra forma di leucemia dove un altro gene che pure codifica per una chinasi anomala, a causa di una traslocazione cromosomica (“cromosoma Filadelfia”), è anch’esso costantemente alterato in questa malattia. L’altra cosa stupefacente di questa storia è che la mutazione del gene BRAF, così importante nella leucemia a cellule capellute, svolge un ruolo critico anche nello sviluppo di circa il 50% dei melanomi (un tumore maligno della pelle) e dei tumori della tiroide. Sembra quasi che la natura agisca in maniera conservativa, utilizzando la stessa lesione genetica per causare tumori diversi, a secondo della cellula normale in cui avviene la mutazione. Così la mutazione di BRAF nel melanocita da origine al melanoma, nelle cellule tiroidee al carcinoma e nei linfociti B alla leucemia a cellule capellute.
Dopo una scoperta scientifica di base, uno degli interrogativi più frequenti è se questa possa avere delle ricadute cliniche di rilievo e in quali tempi. La mutazione di BRAF nella leucemia a cellule capellute rappresenta forse uno degli esempi più emblematici di come, in certe situazioni, si possa passare velocemente dal laboratorio alle applicazioni in campo medico. Di fatto, le ricadute di questa scoperta sul fronte diagnostico rappresentano già una realtà. Infatti, utilizzando delle sonde molecolari sensibili che sono in grado di riconoscere specificamente il gene BRAF mutato, è ora possibile diagnosticare la leucemia cellule capellule con una accuratezza maggiore di quanto non fosse prima possibile mediante la sola osservazione al microscopio (riscontro di cellule con morfologia “pelosa”) o utilizzando test immunologici con anticorpi. Porre una diagnosi di certezza di leucemia a cellule capellute è molto importante dal momento che questa malattia può essere trattata efficacemente con farmaci come la pentostatina o la cladribina.
Infine, la scoperta della mutazione di BRAF nella leucemia a cellule capellute schiude nuovi orizzonti sul fronte terapeutico. Da questo punto di vista, è interessante notare come la strategia terapeutica di questa malattia si sia molto evoluta nel corso degli ultimi 50 anni (Figura 2). All’ inizio, l’unico trattamento disponibile era la rimozione chirurgica della milza (splenectomia). Nei primi anni 80, venne descritta la sensibilità della leucemia a cellule capellute all’ interferone e successivamente, negli anni 90, alla pentostatina e cladribina che attualmente rappresentano i farmaci di elezione per la terapia di questa malattia.
Figura 2. Leucemia a cellule capellute come modello per lo sviluppo di nuove terapie.
Nonostante la terapia attuale con questi agenti chemioterapici si sia dimostrata piuttosto efficace, rimangono ancora una serie di problemi irrisolti. Basti pensare che in circa la metà dei pazienti con leucemia cellule capellute, la malattia si ripresenta dopo una iniziale risposta. Inoltre, la pentostatina e la cladribina sono farmaci immunosoppressori, cioè in grado di deprimere le difese immunologiche dell’organismo, esponendo così il paziente al rischio di infezioni di tipo opportunistico. L’osservazione che molecole intelligenti dirette contro la lesione genetica (inibitori di BRAF mutato) sono in grado di uccidere le cellule leucemiche capellute in cultura, fa ben sperare che in tempi brevi si possano iniziare sperimentazioni cliniche con questi farmaci nei pazienti resistenti agli analoghi delle purine o che ricadono dopo una iniziale risposta a questi farmaci.