fbpx Un giovane buco nero, quasi un mio coetaneo | Scienza in rete

Un giovane buco nero, quasi un mio coetaneo

Tempo di lettura: 4 mins

mmagine della galassia M100 con indicazione della supernova 1979c.
Immagine della galassia M100 con indicazione della supernova 1979c.    

Siamo abituati a pensare all’Universo come a qualcosa in cui tutto avviene molto lentamente, qualcosa che muta su tempi scala così lunghi da impedirci di percepirne i cambiamenti in modo diretto. Certo, vediamo contemporanea- mente tanto le baby galassie appena formatesi, ma miliardi di anni fa, quanto le galassie che collidono ai tempi nostri; vediamo le stelle in formazione, circondate dalle nubi di polvere e gas da cui si sono originate, e i potenti getti relativistici imma emessi dalle radiogalassie. La finitezza della velocità della luce ci permette di vedere sia il presente – qui, ora – sia il passato, anche estremamente remoto, o addirittura primordiale, come quello descritto della radiazione cosmica di fondo. Ma sono tutte fotografie, immagini statiche, ferme. Perché i tempi del Cosmo non sono quelli della natura umana. In astronomia si parla quasi sempre di milioni o di miliardi di anni, tempi lunghissimi di cui è difficile avere padronanza. Ma non sempre è così: vi sono alcune notevoli eccezioni. Poche, ma entusiasmanti. Proprio perché riconducono i tempi scala dell’Universo ai nostri tempi scala, e ci permettono quindi di assaporare una dinamica altrimenti solo immaginata.

Mi ha dunque emozionato moltissimo sentire della scoperta del più giovane buco nero conosciuto (la notizia è reperibile anche sul sito della NASA). Ha trent’anni, è nato nel 1979 quando io trent’anni non li avevo ancora. Ma ero lì, a Cambridge negli Stati Uniti, con altri colleghi, a guardarlo (senza peraltro riuscire a vederlo) quando aveva appena due mesi di vita, e poi nuovamente quando di mesi ne aveva otto. Lo guardavamo con quel meraviglioso strumento che è stato l’Osservatorio Einstein, il primo telescopio in grado di ottenere vere immagini del cielo ai raggi X. Concepito da Riccardo Giacconi, il telescopio Einstein era stato messo in orbita pochi mesi prima e stava letteralmente rivoluzionando l’astronomia, e io sono stato così fortunato da aver avuto l’opportunità di essere nel posto giusto al momento giusto, e partecipare a quella fantastica rivoluzione.

Sequenze di immagini della supernova SN 1987A nel periodo compreso fra il 1994 e il 2003 (HST).
Sequenze di immagini della supernova SN 1987A
nel periodo compreso fra il 1994 e il 2003 (HST).

Non sapevamo allora se a seguito dell’esplosione della supernova SN1979c, avvenuta all’interno della galassia M100 – il centesimo oggetto del primo catalogo astronomico di oggetti non stellari compilato da Messier alla fine del 1700 – si fosse formato un buco nero o meno. Che stesse nascendo è quanto suggeriscono ora i colleghi del Center for Astrophysics, sulla base di ulteriori e successive osservazioni eseguite nella banda X con telescopi ben più potenti di quelli a disposizione allora. I buchi neri, oggetti estremi che quando ero studente erano solo un’ipotesi ma ormai sono da anni un dato di fatto, possono nascere dall’esplosione di una stella di grande massa, e quella esplosa in M100 doveva avere appunto una massa pari a molte volte quella del Sole. Al convegno dell’American Astronomical Society del giugno 1980 presentammo una comunicazione in cui riportavamo i risultati della prima osservazione dettagliata della galassia M100 nella banda X, risultati che non mostravano evidenza di emissione nella posizione della supernova appena esplosa. È passato del tempo da quella comunicazione. M100 e le sue tante supernovae, inclusa la SN1979c, sono state osservate ripetutamente, con ROSAT, XMM, Chandra e Swift. È l’analisi di tutti questi dati che ha portato a postulare l’esistenza di un buco nero, formatosi a seguito dell’esplosione del 1979.

Vi sono alcuni altri esempi di fenomeni astronomici di cui è possibile vedere e apprezzare il cambiamento su tempi scala “umani”, piuttosto che “cosmici”, grazie anche allo sviluppo tecnologico del secolo scorso e alla registrazione e archiviazione sistematica delle osservazioni, che possono poi essere combinate per fornire un’ulteriore dimensione, quella temporale, ai nostri studi. Fa una certa impressione, e apre la mente, vedere ad esempio il filmato che mostra la pulsar nella Nebulosa Granchio al lavoro, con la sua emissione di particelle relativistiche che producono getti e vortici nella nebulosa che si è formata quando la stella progenitrice è esplosa nel 1054. Così come è forse ancora più entusiasmante osservare la sequenza di immagini della supernova SN 1987A, nella Grande Nube di Magellano, collezionate nell’arco di vent’anni da vari telescopi tra cui Hubble e Chandra, che ci mostrano la veloce espansione dei materiali espulsi, la loro interazione con il mezzo circostante e i “fuochi d’artificio” che ne conseguono. La SN 1987A è uno dei rari eventi che siamo in grado di seguire dalla nascita ed è sufficientemente vicina da permetterci di apprezzarne i continui cambiamenti e l’evoluzione, di cui siamo, anno dopo anno, testimoni oculari. Ciò in attesa di una supernova nella parte visibile della nostra stessa Galassia, che manca dai tempi della “stella nova” di Keplero (1604). Che tocchi a Eta Carinae?

Pubblicato su Le Stelle 92, febbraio 2011.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Scoperto un nuovo legame chimico carbonio-carbonio

Un gruppo di ricercatori dell'Università di Hokkaido ha fornito la prima prova sperimentale dell'esistenza di un nuovo tipo di legame chimico: il legame covalente a singolo elettrone, teorizzato da Linus Pauling nel 1931 ma mai verificato fino ad ora. Utilizzando derivati dell’esafeniletano (HPE), gli scienziati sono riusciti a stabilizzare questo legame insolito tra due atomi di carbonio e a studiarlo con tecniche spettroscopiche e di diffrattometria a raggi X. È una scoperta che apre nuove prospettive nella comprensione della chimica dei legami e potrebbe portare allo sviluppo di nuovi materiali con applicazioni innovative.

Nell'immagine di copertina: studio del legame sigma con diffrattometria a raggi X. Crediti: Yusuke Ishigaki

Dopo quasi un anno di revisione, lo scorso 25 settembre è stato pubblicato su Nature uno studio che sta facendo molto parlare di sé, soprattutto fra i chimici. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Hokkaido ha infatti sintetizzato una molecola che ha dimostrato sperimentalmente l’esistenza di un nuovo tipo di legame chimico, qualcosa che non capita così spesso.