“Solo il chimico può dire e non sempre, cosa verrà fuori dall'unione di fluidi o solidi. E chi può dire come uomini e donne reagiranno fra loro o quali figli ne risulteranno?” Questi versi di Edgar Lee Masters compaiono nell’Antologia di Spoon River, un libro che molti di noi hanno amato fin dall’adolescenza, ricavato da una serie di epitaffi pubblicati sul “Mirror” di St. Louis tra il 1914 e il 1915. Il poeta faceva dire queste parole a Trainor il farmacista, mentre riposava per sempre sulla collina, accanto al giudice, al medico, al violinista e ad altri compaesani. Al lavoro di Masters si ispirò liberamente il nostro Fabrizio De André quando scrisse il testo della canzone “Un chimico” per l’album "Non al denaro, non all'amore né al cielo", pubblicato nel 1971. Mentre dava “fosforo all’aria” il suo chimico così cantava: “…un giorno avevo il potere di sposare gli elementi e di farli reagire, ma gli uomini mai mi riuscì di capire perché si combinassero attraverso l’amore affidando a un gioco la gioia e il dolore”.
Maria Chiara Montani ha pensato di ricorrere a quel testo di De André per assegnare un titolo insolito a quella che ha definito una breve storia della chimica. Così, tanto per fugare ogni dubbio, “Sposare gli elementi” si presenta proprio con la citazione del brano di cui sopra.
Uno sguardo alla bibliografia finale permette di capire in che modo l’autrice ha inteso affrontare le vicende della chimica. La lista dei riferimenti comprende non solo alcuni classici della scienza e della filosofia come Boyle, Bohr, Kuhn e Popper ma anche della letteratura, come Lucrezio, Dickens e Manzoni, fino a scrittori di successo contemporanei come Michael Crichton e il suo “Preda” (Garzanti, 2003). Naturalmente non vengono trascurati gli storici (Abbri, Cerruti, Di Meo ecc…), vari saggisti e giornalisti scientifici. Tra questi ultimi vi è anche Pietro Greco e il volume da lui curato sul “Bioterrorismo”, oltre a Giancarlo Sturloni e alle sue “mele di Chernobyl”. Anche Maria Chiara Montani è giornalista scientifico e, dopo la laurea in chimica, ha conseguito il Master in Comunicazione della Scienza alla SISSA di Trieste. I suddetti riferimenti fanno presagire che “Sposare di elementi”, un libro che si propone anche graficamente con un’immagine di copertina affatto banale progettata dall’Ufficio Grafico della Sironi, sia destinato a non annoiare un pubblico eterogeneo, sia come preparazione che come interessi.
Con linguaggio piano e scorrevole parla di chimica, letteratura, guerra, ambiente ed etica scientifica in dodici svelti capitoletti, tenendo ben sveglia l’attenzione. Forse si occupa di troppe cose, di certo non solo di storia della chimica. Si parte dalla chimica nell’antichità per arrivare alle nuove frontiere (computer, nanotecnologie e caos), attraverso un percorso abbastanza ordinato ma logicamente frettoloso , senza dimenticare l’uso criminale delle conoscenze chimiche, le colpevoli negligenze dell’industria e tutto quanto ha ne ha offuscato l’immagine. Concede forse un po’ troppo alle note di colore rispetto alla cura delle informazioni scientifiche. Ad esempio, era proprio indispensabile ricordare per due volte che Amedeo Avogadro era il conte di Quaregna e Cerreto e riprendere la leggenda del sogno di Kekulé? Meglio, forse, registrare con più fedeltà all’originale il contributo dello stesso Avogadro (p. 69), trattare con minore incertezza di termini la questione dell’acido racemico (p.84) ed evitare di confondere termodinamica e cinetica delle reazioni chimiche (p.93). Detto ciò, se non si cerca l’alta definizione e la completezza, se si apprezzano notizie sintetiche sulla chimica del secondo ‘900 (supramolecolare, combinatoriale , computazionale, verde, dei materiali ecc...), questo libro risulterà utile e indicherà nuovi sentieri di collegamento tra cultura scientifica ed umanistica. Riguarderanno, si badi bene, non la semplice e fredda citazione di oggetti della chimica nelle pagine dei grandi scrittori, bensì la riproposta di “atmosfere” reali che univano la chimica alla quotidianità. Ne è un esempio la bella pagina di Dickens da “Tempi difficili” (p. 167), forse una delle rappresentazioni più sconvolgenti delle conseguenze dell’inquinamento ambientale, un avvertimento anche per noi e la nostra concezione, talvolta acritica, della scienza.