Lo scorso
settembre, nel cuore dell'inchiesta sull'ILVA, le parole del ministro
dell'ambiente Corrado Clini hanno suscitato molto clamore. Il ministro ha
dichiarato che "a Lecce si muore più che a Taranto", riferendosi ai
dati di mortalità per cancro pubblicati dall'Istituto Superiore di Sanità e
dall'Osservatorio
dei tumori della Puglia.
“Clini
ha messo in luce una situazione nota già da tempo”, commenta Giorgio Assennato,
direttore dell’Arpa Puglia. Infatti, l'aumento di decessi per tumori,
soprattutto polmonari, nella zona di Lecce "è effettivamente reale e a
macchia di leopardo" (vedi Figura 1) e sono anni che si sente parlare di
«paradosso di Lecce». "Tuttavia non è ancora possibile identificare i
fattori di rischio associati".
Cosa
sta succedendo realmente in Puglia?
I dati sulla salute della
popolazione non
sono certo confortanti. Il
Rapporto
Sentieri, che ha valutato la mortalità dei residenti nelle 44 aree industriali
più inquinate del Paese, mostra che in Puglia la situazione è indubbiamente
complessa. E che i problemi vanno ben oltre l'acciaieria di Taranto.
Figura 1 - Tassi grezzi di mortalità per i diversi tipi di tumore nella Provincia di Lecce. Il tasso grezzo indica il rapporto tra il numero di morti in un anno per uno specifico tumore su una popolazione di 1.000 abitanti. I dati sono tratti dal Rapporto 2010 del Registro Tumori della provincia di Lecce.
Inquinamento in Puglia
L'ultimo Studio sullo Stato dell’Ambiente curato dall’ARPA, infatti,
evidenzia che la Puglia è ancora la regione con le maggiori emissioni
industriali in Italia, nonostante le norme sulla qualità dell'aria (per esempio
sulla diossina) siano più stringenti del resto del Paese.
Se le condizioni dell’aria sono
preoccupanti, quelle delle acque di certo non sono migliori. Solo pochi mesi fa
i biologi di Legambiente hanno analizzato venti campioni di acque litoranee
pugliesi riportando risultati critici tra le provincie di Taranto, Bari,
Brindisi, Barletta-Andria-Trani e Foggia. Sotto accusa le foci di fiumi e
canali, che scaricano in mare acque parzialmente depurate.
A
destare preoccupazione in Puglia, dunque, non è solo l'ILVA. Oltre a Taranto,
nella regione esistono altri tre Siti di Interesse Nazionale, in cui la
situazione ambientale versa in gravi condizioni. Si tratta delle aree
contaminate di Manfredonia, Brindisi e Bari.
Inoltre,
nella regione sono presenti impianti industriali che emettono ingenti
quantitativi di inquinanti. A soli 12 chilometri di distanza da Brindisi si
trova la centrale ENEL Federico II di Cerano, attiva dal 1991 e da tempo al
centro delle inchieste per la nocività delle emissioni prodotte.
Nella
classifica delle 662 industrie pesanti che inquinano di più in Europa, redatta
dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), la centrale è diciottesima, ben 34
posizioni prima dell’ILVA. Nel rapporto dell’EEA sono state considerate tutte
le emissioni di sostanze dannose provenienti dalla centrale, dai metalli
pesanti (derivati dal processo di combustione industriale) agli inquinanti
biologici (benzene, diossine e idrocarburi policiclici aromatici).
Confrontando la centrale di
Cerano con l’ILVA, le differenze in termini di emissioni di ossido di azoto (NOX),
biossido di zolfo (SO2) e anidride carbonica (CO2) sono
evidenti (vedi Figura 2). L'ILVA si distingue in negativo
solo per le emissioni di particolato (PM), uno degli inquinanti più pericolosi
per l'uomo, soprattutto a livello di cuore e polmoni.
Figura 2 - Confronto tra ILVA spa di Taranto e centrale ENEL Federico II di Cerano. Nel grafico sono riportate in tonnellate le emissioni dei principali agenti inquinanti registrate nel 2009 (dati del Registro Europeo delle Emissioni e dei Trasferimenti di Sostanze Inquinanti).
E' bene sottolineare che le
emissioni eccessive di anidride carbonica non hanno effetti comprovati sulla
salute umana ma, essendo direttamente responsabili del riscaldamento climatico
globale, influiscono negativamente sulla salute dell’ambiente. Al fine di
ridurne drasticamente le emissioni, nel 2011 la centrale ha inaugurato un
impianto pilota per la cattura e lo stoccaggio di CO2.
I problemi nella zona di Cerano
non sono tuttavia risolti. Nel corso degli anni gli inquinanti rilasciati hanno
contaminato vaste aree intorno alla centrale. Già nel 2007, il sindaco di
Brindisi ha dovuto imporre con un’ordinanza il divieto di coltivazione su
un’area di 400 ettari adiacente alla centrale, la distruzione dei frutti
contaminati e la chiusura delle attività per 60 imprenditori agricoli. Solo
dopo vari ricorsi alla magistratura e tentativi di riqualificazione del
territorio si è giunti all’annullamento dell’ordinanza. Sono state inoltre
richieste numerose perizie per spiegare le elevate percentuali di cancerogeni
presenti: arsenico, cadmio, cromo, idrocarburi
policiclici aromatici e benzene ricoprono la zona e vengono
trasportati dai venti anche a lunga distanza.
Il 7 gennaio scorso è iniziato il
processo a 13 dirigenti ENEL e due responsabili delle aziende appaltatrici dei
nastri trasportatori del carbone per fare finalmente chiarezza sulle
responsabilità della dispersione delle polveri inquinanti.
paradosso di Lecce: le ipotesi
La situazione ambientale pugliese è, dunque,
molto complessa, e i livelli di mortalità più elevati a Lecce che a Taranto potrebbero
dipendere da una serie di concause.
Per cercare di spiegare le
ragioni del «paradosso di Lecce», qualche anno fa l’Istituto Isac del Cnr
dell’Università del Salento ha dimostrato che buona parte degli inquinanti
liberati dalle ciminiere di Cerano e dall'ILVA vengono trasportati fino a
Lecce. Monitorando il percorso dei venti, infatti, gli studiosi del Cnr sono
riusciti a rintracciare le particelle rilasciate dagli impianti a circa 160 km
di distanza, proprio nel leccese. Questo potrebbe essere il fattore cruciale in
grado di influenzare i livelli di mortalità oncologica, soprattutto polmonare,
nel Salento.
Negli anni sono state prese in considerazione altre concause quali
l'inquinamento atmosferico
locale, la contaminazione del suolo e le radiazioni ionizzanti (radon) per
tentare di spiegare il paradosso ma, in assenza di studi validi, al momento
sono tutte semplici congetture.
"Tra i fattori eziologici da
considerare va preso in esame il consumo di sigarette anche in relazione alla
diffusione della coltura del tabacco e alla prassi, da parte della Manifattura
Tabacchi, di distribuire gratuitamente stecche di sigarette ai lavoratori",
commenta Pietro Comba dell'Istituto Superiore di Sanità.
In merito alla questione radon,
invece, l'ARPA Puglia ha dato il via a uno studio puramente esplorativo per
capire se i dati oncologici riscontrati a Lecce possano essere correlati alla
presenza di radiazioni ionizzanti. "Ci sono scuole nel Salento",
afferma Assennato, "in cui si sono misurati valori di radon di 600 Bq/m3
(la normativa italiana fissa un livello soglia di 500 Bq/m3, ndr),
ma è necessaria un'analisi rigorosa. Abbiamo perciò selezionato cinque comuni
ad alta incidenza di tumori e cinque a bassa in cui realizzare una campagna di
lunga durata di misurazione di questo gas naturale radioattivo".
Il radon è considerato la seconda
causa di tumore polmonare dopo il fumo di tabacco: è presente nelle rocce, nel
suolo e nei materiali da costruzione (come il tufo e la pietra leccese) e tende
ad accumularsi negli ambienti confinati, principalmente abitazioni,
uffici, scuole. Dal radon è possibile difendersi attraverso azioni di
risanamento degli edifici (che vanno sigillati dalle infiltrazioni del
sottosuolo) e con semplici misure di prevenzione come aerare spesso le stanze e
soprattutto non fumare, poiché il fumo moltiplica il rischio. "Ma il primo
passo è la mappatura del territorio e il monitoraggio ambientale" conclude
Assennato.
Paradosso di Lecce:
tasso di mortalità oncologica più elevato in Salento che a Taranto. Intervista
a Giuseppe Serravezza (LILT, Lega Italiana Lotta contro i Tumori - Lecce)
di Milly Barba
Quali sono le ragioni del paradosso di Lecce?
L’Ilva,
distante 100 chilometri dalla città salentina, è realmente la causa del tasso
di mortalità oncologica più elevato rispetto a Taranto? Lo abbiamo chiesto a
Giuseppe Serravezza, presidente della LILT di Lecce
Da quanto tempo siete
a conoscenza del paradosso di Lecce?
Dal 1994, quando nell’ambito di uno studio di fattibilità
condotto dal dirigente dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato, confrontammo i
tassi di mortalità di Lecce, Brindisi e Taranto. Da Lecce attendevamo dati
migliori, ma la mortalità per cancro risultò nettamente più elevata.
Esattamente di cosa si
muore a Lecce?
Siamo i primi in Italia per tasso di mortalità dovuto al
cancro al polmone. Sono presenti alti livelli di mortalità anche per il tumore
della vescica e i tumori del sangue (come le leucemie). Inoltre dal 1990 al
2009 la mortalità per cancro globale è stata dell’11% superiore rispetto a
quella attesa dalla media pugliese.
Se le malattie
descritte sono implicate anche nella contaminazione ambientale dell'Ilva,
perché a Lecce si muore più che a Taranto?
Il problema che affligge il Salento non è solo l’Ilva. Prima
di guardare ai “topolini”, però, occorre preoccuparsi degli “elefanti”. Un
altro grande problema è stato il Petrolchimico di Brindisi e, tutt’oggi, la
Centrale termoelettrica di Cerano è la diciottesima peggior centrale d’Europa in
termini di emissioni di CO2 e
di altri agenti inquinanti. Gli studi condotti sui venti chiamano in causa
proprio l’Ilva e Cerano.
La teoria dei venti
quindi è attendibile?
Sì. Gli studi eseguiti da Cristina Mangia del CNR imputano
agli spostamenti d’aria l’inquinamento a sud di Cerano. Inoltre particelle
precedentemente marcate, emesse dall’Ilva, sono state rilevate 160 chilometri a
sud. Per tre quarti della giornata i venti che interessano le nostre zone
spirano da nord verso Lecce.
Sono state avanzate
altre ipotesi per spiegare l’elevato tasso di mortalità in Salento?
Molte ipotesi. Perché oltre all’Ilva e a Cerano in Salento
ci sono tanti “cerini”. Situazioni critiche sono emerse quando si è andato a
vedere dove si addensano i casi di tumore ai polmoni. Un esempio è la Coopersalento, il sansificio di Maglie,
nella cui area numerose persone sono state colpite da questo tipo di cancro.
In Salento, fino dieci anni fa, era diffusa la
coltivazione e lavorazione del tabacco. Esiste un legame effettivo con l’incremento
di neoplasie polmonari?
Da tempo non ci sono più tabacchificii né coltivazioni ma,
circa trent’anni fa, ho riscontrato dei casi in donne anziane.
Erano“ex-tabacchine”, avevano lavorato le foglie per anni. Fu insolito per
l’epoca. Oggi questi tumori sono imputabili principalmente all’uso di tabacco,
in Salento come altrove. Mi sono battuto affinché si capissero gli effetti del
fumo, ma non può essere questa la causa del paradosso di Lecce, o almeno non
l’unica.
Si può imputare
l’eccesso di morti per tumore polmonare alla presenza di radon in Puglia?
Il ruolo del radon è codificato. È la prima causa di tumore
al polmone in soggetti non fumatori
e la seconda nei fumatori. Il Salento non è stato ritenuto un’area ad alto
rischio, tuttavia negli ultimi anni si stanno rivedendo queste posizioni. Attualmente
non esistono prove di un particolare stato di emergenza.
Alla fine quale idea
si è fatto sulla causa reale del paradosso di Lecce?
Questa è una domanda difficile. Il cancro è una malattia
multifattoriale per eccellenza. È arduo trovare la “pistola fumante” che
chiarisca definitivamente la correlazione fra l'eccesso di tumori e una sola
causa ambientale, o di altro genere. Sappiamo che, dove sono cambiati i modelli
di sviluppo e gli stili di vita è mutata l’epidemiologia dei tumori. A Londra,
per esempio, si registra da dieci anni una riduzione dei casi dell’1,5 %
l’anno, in controtendenza con quanto accade nel Sud Italia. Ciò non è
determinato da una migliore offerta di cura: la gente si ammala di meno. Non
esiste un’unica causa, ma una serie di concause e problemi da risolvere con
estrema urgenza.