Ernesto Pascal (1865-1940)
Figura 1
Figura 2
Anche l’Italia ha avuto il suo Pascal, meno famoso di Blaise, il grande matematico, fisico e filosofo francese (B.P. 1623-1662), ma pur sempre meritevole di un posto di rilievo nella storia della matematica. Il nostro Pascal si chiamava Ernesto ed era nato a Napoli nel 1865, figlio di Stefano e Maria Gaetana Zapegna. La famiglia paterna era originaria di Tarascon, località francese a una ventina di chilometri da Avignone.
La parte più importante della produzione scientifica di Pascal è costituita dalle ricerche sulla teoria delle forme differenziali, culminate con un’ampia memoria del 1909. Impossibile ricordare qui il resto ma, almeno di sfuggita, merita un cenno la risoluzione grafica delle equazioni differenziali ed integrali e la serie di lavori sugli integrafi. Ma il Nostro non si occupò solo di matematica. Nel corso della solenne inaugurazione dell’anno accademico 1912-13 nella Regia Università di Napoli, Ernesto Pascal, allora professore ordinario di Algebra complementare, nonché incaricato di Analisi superiore nella stessa Università, lesse un discorso dal titolo La crisi nelle Università italiane (figura 1). Non era la prima volta che con franchezza, anzi con «l’onesta intenzione di dire le cose tali quali le vedo», parlava del sistema universitario italiano. Specializzato nei discorsi inaugurali, in quello per l’apertura dell’anno accademico 1897-98 a Pavia, dove all’epoca era ordinario di calcolo infinitesimale, il suo «amaro dire» mise a nudo Costumi e usanze nelle Università italiane.
Nel discorso di Napoli, Pascal trattò del distacco fra Università e Paese, quale si era manifestato alcuni anni prima in Parlamento in occasione della discussione di una legge sui miglioramenti economici dei professori. Disse che a molte classi della popolazione le cattedre universitarie apparivano come canonicati e che la professione d’insegnante appariva la più comoda e la più facile di tutte. Il gran pubblico considerava le lezioni cose senza importanza e anche un Presidente di Corte d’Assise, per persuaderlo a restare fra i giurati, gli disse: «Tanto voi altri professori non avete nulla da fare».
Analizzando i motivi del distacco, Pascal sosteneva che mentre la funzione scientifica dell’Università aveva fatto grandi progressi dall’Unità in poi, quella didattica era decaduta. Troppa gente immatura e impreparata era stata chiamata a ricoprire le numerose cattedre libere. Nei concorsi si trascuravano i titoli e le capacità didattiche mentre, secondo Pascal, bisognava apprezzarle come quelle scientifiche. In conseguenza di ciò certi insegnamenti erano diventati troppo specialistici e troppo spesso si proponevano nuove cattedre e nuovi insegnamenti inutili. Si «sminuzzava» e si «frantumava» la scienza facendo perdere ai giovani lo sguardo sintetico cui bisognava educarli. Secondo lui, ad esempio, gli insegnamenti del primo biennio universitario per gli ingegneri non dovevano avere carattere professionale ma dovevano plasmare la mente per renderla capace di dominare le difficoltà della tecnica. Si lamentava poi dei tumulti universitari, criticandoli aspramente. La colpa non era soltanto degli studenti ma «chi stava in su» e non sapeva o voleva moderarli. Per questo disordine, mancanza di disciplina e venir meno del principio d’autorità, il Paese aveva perso la fiducia nell’efficacia educativa della Scuola e dell’Università.
Integrafo (strumento meccanico che, dato il grafico
di una funzione, permette di tracciare quello
della funzione integrale) progettato da Ernesto Pascal,
Museo della matematica, Pavia
Durante l’inaugurazione di Pavia fu impietoso e durissimo con la classe docente. Dopo aver ripercorso la storia delle Università, si occupò del modo in cui le Facoltà avevano interpretato l’autonomia concessa dal Ministro: favoritismi al parente dell’amico o all’amico del parente, moltiplicazione di insegnamenti ed insegnanti per elevare la rinomanza delle Facoltà stesse, divisione in fazioni contrapposte su candidati alla cattedra in competizione fra loro, trasferimenti per accontentare i singoli ecc. Per quanto riguarda i concorsi denunciava le coalizioni di commissari che si perpetuavano per anni ai fini di difendere le rispettive consorterie e i candidati vincitori per ragioni indipendenti dalla scienza e dagli studi. A seguito delle «riforme» le Università erano state lasciate troppo in balìa di loro stesse e questi erano i risultati. Non mancava poi di criticare i professori troppo vecchi e talvolta intellettualmente stanchi, che non volevano abbandonare i loro posti. Le troppe vacanze concesse agli studenti con mille pretesti recavano danni morali e materiali e non bisognava stupirsi se l’insegnamento era considerato un servizio pubblico poco importante. Questo e altro diceva Pascal ma…tranquilli, il suo discorso si riferiva alla situazione di cent’anni fa.
Ringrazio l’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere per il ritratto di E.P.
Per saperne di più
Pascal E., “Costumi ed usanze nelle
Università italiane - Discorso scritto per la solenne inaugurazione degli
studii dell’anno 1897-98”, Annuario R. Università di Pavia 1897-98, p. 13-48
Pascal E., “La crisi delle
Università Italiane”, Achille Cimmaruta, Tipografia R. Università, Napoli 1912
(estratto dall’Annuario dell’Anno Scolastico 1912-13).
Picone M., “Ernesto Pascal”, Rend. Accad. Sci. Fis. Mat. Soc. R. Napoli, 12, 1941, p. 53-82
Berzolari L., “Ernesto Pascal”, Rend. R. Ist. Lombardo. Sci. Lett. Cl. Lett.
Sci. Morali. Stor., 12, 1939-40,
p. 162-170