''I ratti liberano gli amici e mostrano compassione ed empatia''; '' I ratti amano di più i loro amici che il cioccolato''; ''Persino i ratti sono empatici, come mai i Repubblicani no?''. Sono alcune delle migliaia di frasi che si ottengono googlando ''empathy in rats''. Centinaia di pagine di Google e migliaia di siti che parlano dello studio di Decety e collaboratori. Di questo studio e del relativo articolo di Piattelli-Palmarini sul Corriere si è già occupato Giacomo Rizzolati su SciRe (vedi articolo correlato).
Come mai tanto interesse? Probabilmente l'idea che il ratto, l'inquilino delle fogne, il vettore della peste, il feroce onnivoro capace di assalire anche l'uomo, sia capace di solidarietà e possa anteporre la liberazione di un proprio simile al soddisfacimento del proprio desiderio (il cioccolato), ha colpito l'immaginario collettivo a tal punto da diventare un esempio di ''umanità'' per l'uomo stesso.
A questa visione, tuttavia, hanno contribuito fortemente gli autori dello studio. Sono loro infatti che hanno ''sparato'' su Science il titolo: ''Empathy and pro-social behavior in rats''. Un'analisi puntuale del loro lavoro mostra che la loro interpretazione è, per usare termini tratti dalla giurisprudenza, ''falsa e tendenziosa''.
Cos'è l'empatia
L'empatia è un aspetto fondamentale della relazione interpersonale. E' la capacità di mettersi nei panni dell'altro, di sentire con l'altro e di condividerne l'esperienza emotiva. Empatia è partecipazione, indipendentemente dalla valenza, positiva o negativa, gratificante o avversiva, dello stato emotivo dell'altro. Possiamo essere empatici con la gioia dell'altro, ma anche con il suo dolore.
Decety e coll, però limitano il concetto di empatia alla capacità di percepire l'altrui sofferenza e di adoperarsi per alleviarla, attribuendo così al termine una connotazione etica, quella del soccorso dell'altro, che può essere sì una conseguenza dell'empatia, ma non ne è la sostanza. Questa scelta etica ha condizionato pesantemente l'interpretazione dei dati sperimentali.
Il test di liberazione con interazione sociale
Il paradigma dello studio di Decety è relativamente semplice. Una coppia di ratti viene tenuta nella stessa gabbia per almeno due settimane con acqua e cibo ad libitum (un particolare, questo , di fondamentale importanza, dato che il ratto selvatico è invece affamato e alla continua ricerca di cibo). In tal modo i due ratti diventano "compagni di gabbia" (cagemates).
L'esperimento consiste in un test standard giornaliero della durata di un'ora, che viene ripetuto per 12 giorni. Il test standard viene effettuato in un'arena nella quale si trova una cella rettangolare di plexiglas trasparente provvista di ampie aperture laterali e frontali e di una porta fatta in modo da poter essere aperta dal ratto facendo leva o spingendo con il muso. Uno dei due ratti viene rinchiuso nella cella e quindi il compagno viene trasferito nell'arena. Se , dopo 40 minuti, il compagno non libera il ratto prigioniero, la porta viene aperta comunque dallo sperimentatore, consentendo così al prigioniero di uscire e interagire con il compagno.
In queste condizioni, ci vogliono in media circa 7 test giornalieri perchè i ratti aprano la porta (vedi questo video in Science). Una volta aperta la porta con successo il ratto continua in questo comportamento ad ogni test successivo.
Dato che aprendo la porta il ratto libera il compagno rinchiuso, Decety e coll. formulano l'ipotesi che il ratto apra la porta per terminare le sofferenze del compagno, liberandolo. In effetti, che il ratto segregato sia a disagio è indicato dal fatto che emette segnali ultrasonici a 23 Herz, tipicamente associati a condizioni spiacevoli e ansiogene (alarm calls).
Esistono però ipotesi alternative. Per esempio, il ratto potrebbe liberare il compagno perchè è motivato dalla prospettiva di interagire con lui; l'interazione sociale con i consimili è fondamentale per la sopravvivenza del ratto e della sua specie ed è fortemente gratificante. Un'altra possibilità è che il ratto liberi il compagno perchè i suoi segnali di allarme (una specie di lagna continua) gli danno ai nervi, provocandogli ansia. Questa seconda possibilità viene però esclusa dagli autori perchè gli alarm calls sono comunque rari (il che peraltro, fa pensare che il ratto segregato non stia poi così male...)
Il test di liberazione senza interazione sociale
L'unica reale possibilità da escludere è quindi la prima e cioè che il ratto, a furia di esplorare la cella e infilare il muso dappertutto, finisca, casualmente, per aprire la porta. Questa azione però ha una conseguenza altamente gratificante e quindi viene rinforzata. Una volta ottenuta la liberazione la prima volta, il ratto continua a liberare il compagno con una latenza progressivamente minore fino a che, dopo vari tests, questo comportamento diventa un'abitudine. Come si può vedere nel video, mentre la prima volta la liberazione del compagno è seguita dall'esplorazione e dall'interazione con il compagno, dopo altri 6 tests l'apertura della porta è seguita dall'esplorazione della cella e solo in minima parte dall'interazione con il compagno.
Decety e coll. hanno ragionato che se effettivamente il ratto libera il compagno per poter interagire con lui piuttosto che per porre termine alle sue sofferenze, non dovrebbe continuare a liberare il ratto recluso se a questa azione non consegue la possibilità di interazione sociale. Per controllare questa possibilità, Decety e coll. hanno modificato il test standard .
In questo test l'apertura della porta libera il ratto rescluso ma lo immette in un altro ambiente, precludendo l'interazione sociale. Nonostante ciò, il ratto continua ad aprire la porta. La conclusione degli autori è che il fine del ratto non è quello di interagire con il compagno ma solo quello di liberarlo.
Bisogna però considerare che questi test di liberazione senza interazione sociale vengono effettuati dopo che, per ben 12 giorni i ratti sono stati sottoposti al test di libeazione con interazione sociale. Questo training preliminare ha creato nel ratto un'associazione operante molto forte e permanente tra l'apertura della porta e la possibilità di interagire con il suo compagno. Perciò, l'osservazione che nel test della separazione il ratto continui ad aprire la porta della cella si può spiegare semplicemente con il fatto che l'associazione operante tra apertura della porta e interazione sociale, consolidata da 12 giorni di test standard o non va incontro ad estinzione (Fig 4 B) oppure, se va incontro ad estinzione (Fig 4A) viene reinstaurata (reinstatement) in presenza di stimoli incentivi provenienti dalla presenza del ratto dentro la cella, anche se all'apertura della porta non consegue un'interazione con il ratto liberato.
La Fig.4 B del lavoro mostra infatti che, una volta appresa, la tendenza del ratto ad aprire la porta si mantiene per ben 18 giorni consecutivi, anche quando il test consiste nell'aprire una cella vuota e cioè, quando l'azione non ha come conseguenza la liberazione del compagno. Questa resistenza all'estinzione è tipica di un comportamento abituale (habit) e automatico, nel quale l'azione è diventata indipendente dalle sue conseguenze. In questa sequenza sperimentale l'apertura della porta, inizialmente sostenuta dalla possibilità di interagire con il compagno è ormai diventata un habitus che, come tale, si perde molto lentamente.
Tuttavia, come mostrato in Fig.4A, se il test di estinzione, consistente nell'esposizione del ratto ad una cella vuota, viene effettuato prima che l'habitus si sia instaurato, l'estinzione del comportamento di apertura della porta avviene rapidamente. Tuttavia, anche dopo ben 30 tests giornalieri in condizioni di estinzione, la semplice presenza del compagno nella cella provoca la ripresa dell'apertura della porta anche se a questa non consegue l'incontro con il compagno liberato. Potrebbe sembrare che il ratto liberi il compagno per il semplice piacere di terminare la sua prigionia e non per interagire con lui. Questa è infatti l'interpretazione preferita dagli autori, i quali però non considerano il fatto che nel ratto un comportamento operante appreso come quello dell'apertura della porta, può essere facilmente reinstaurato in presenza di stimoli condizionati che ne richiamano prepotentemente l'esecuzione (reinstatement). Nel nostro caso questi stimoli sono costituiti dal ratto presente dentro la cella , che il ratto libero può facilmente esplorare attraverso le grandi aperture laterali della stessa cella.
La concorrenza del cioccolato
L'altro aspetto rilevante dello studio è che, dopo 6 giorni di tests nei quali il ratto può scegliere se aprire una cella dove è segregato il compagno o un'altra cella dove trova il cioccolato, il ratto apre con la stessa latenza la cella del compagno e quella con il cioccolato.
Tuttavia, al quarto e quinto giorno di training il ratto apre già la cella con il cioccolato (Fig 4C) ma non ancora quella nella quale è rinchiuso il compagno. Perciò l'idea che il ratto preferisca liberare il compagno piuttosto che mangiare il cioccolato non corrisponde ai dati. E' vero piuttosto il contrario.
Ma non è tutto. Infatti, nell'interpretare in senso antropomorfico questo esperimento si tralascia il fatto che i ratti avevano cibo ad libitum, erano cioè praticamente sazi, una situazione del tutto artificiale. In natura, il ratto ha una fame veramente ''atavica''. Perciò, se veramente gli autori volevano modellare la ''natura''empatica del ratto, forse avrebbero dovuto tenerlo a stecchetto. Chissà se in queste condizioni sarebbe stato altrettanto ''empatico''.
Amplificazione antropomorfica
Il caso dei ratti ''empatici'' si presta ad una serie di considerazioni. La prima è che i media tendono a distorcere il risultato dei lavori scientifici. In questo però i ricercatori hanno avuto sicuramente una gran parte di colpa. L'Abstract del lavoro infatti parla di una uguale tendenza del ratto ad aprire la cella del compagno e quella con il cioccolato, che non è tutta la verità, dato che a 4 e a 5 giorni la preferenza è per il cioccolato. Su questo i media hanno messo il carico da novanta, giungendo alla conclusione opposta (es. '' I ratti amano di più i loro amici che il cioccolato'') .
L'altra considerazione è che nello studio del comportamento animale bisognerebbe diffidare delle interpretazioni antropomorfiche. Il senior author del lavoro è uno psicologo sociale prestato allo studio del comportamento animale e il suo approccio sembra risentire di una formazione psicologica umana, basata sullo studio di quanto riferito dal soggetto sulla sua attività mentale, e della poca conoscenza del comportamento del ratto. Gli animali tuttavia, non hanno la parola nè la scrittura e la deduzione dei loro stati mentali dal loro comportamento può portare a semplificazioni del tipo di quella di cui ci stiamo occupando.
Il piacere non è un optional
E' possibile che l'empatia e la solidarietà dell'uomo abbiano le loro basi ancestrali nel comportamento sociale di mammiferi, come il ratto, che si trovano nei gradini più bassi della scala evolutiva. Tuttavia sarebbe altamente fuorviante attribuire a comportamenti del ratto, superficialmente simili a quelle dell'uomo, la stessa motivazione e gli stessi meccanismi neurali. Un'analisi critica dei risultati sperimentali indica che il ratto di Decety non apre la cella per terminare le pene del compagno imprigionato e quindi per altruismo ma perchè questo comportamento ha una conseguenza per lui altamente gratificante, l'interazione con il compagno. In questo sì, nel potere unificante del piacere, ratti e uomini si riconoscono.
La conservazione del meccanismo del piacere nel corso della lunga stagione evolutiva che separa il ratto dall'uomo indica che il piacere non è un optional, non è cioè fine a se stesso, ma un dispositivo biologico volto a favorire la sopravvivenza e l’adattamento all’ambiente, una sorta di bollino blu che marca tutto ciò che è utile o essenziale per il singolo e la specie al fine di motivare il comportamento volto a ricercare e consumare gli stimoli ai quali è associato.
Visto in questa prospettiva, il fatto che il ratto di Decety apra la porta della cella perchè l'interazione con il suo consimile è gratificante ha un significato biologicamente ben più generale della possibilità che questo comportamento sia motivato dalla compassione e dalla solidarietà. Anche perchè non siamo affatto sicuri che, se la selezione naturale fosse stata governata dalla compassione e dalla solidarietà, l'evoluzione sarebbe andata nel modo che sappiamo, generando, tra le altre meraviglie, la specie umana.
Fonte: http://www.sciencemag.org/content/334/6061/1427.abstract