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La pillola della moralità

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Di solito Massimo Piatelli Palmarini sceglie degli argomenti molto interessanti da commentare per il “Corriere della Sera” e li racconta bene. Questa volta no (vedi articolo). Forse si è fatto prendere ingenuamente da troppo entusiasmo per un argomento apparentemente di interesse e (purtroppo) fuori dalle sue competenze. E così sbaglia, su tutto, sull’esperimento, sull’equivoco personaggio che lo discute nel suo blog e sulle conclusioni che trattano del “libero arbitrio”. Incominciamo. L’autore più noto dell’esperimento riportato è Jean Decety (vedi articolo). E’ un ricercatore  francese che lavora da qualche anno all’Università di Chicago e che si è fatto una certa fama con esperimenti sull’uomo (spesso confusi) di “brain imaging”. In questo caso usa ratti. Mette un ratto in una stanzetta dove è libero di correre e dove c’è un altro ratto chiuso in una gabbietta. Talvolta il ratto ambulante libera il ratto prigioniero. La conclusione, è che lo fa perché ne ha pena e quindi non solo sente empatia per un consimile ma cerca anche di aiutarlo. Peccato che il ratto prigioniero emetta dei suoni sgradevoli segnalatori di stress e, come gli autori stessi ammettono, è possibile che la liberazione sia conseguenza del fastidio che questi suoni danno al ratto “liberatore”. Senza un controllo di questa variabile il lavoro manca di qualità scientifica (anche se pubblicato su Science)

Il secondo personaggio che entra nella storia è ben peggio. Si tratta di Peter Singer, “filosofo morale”. Famoso per un libro, pieno di sofismi, sui “diritti degli animali”. Divenuto in seguito ancora più famoso per avere sostenuto, in base a principi utilitaristi, la liceità di uccidere neonati privi di razionalità. Wiesenthal scrisse di lui (cito a memoria) “Non penso sia lecito invitare a un convegno di filosofia morale un personaggio che difende la soppressione dei bambini handicappati”. Una persona da “uccidere col silenzio” come dicono i giapponesi e non da citare per idiozie tipo: “ratti buoni, uomini cattivi”.

Cosa c’entri in tutto questo il libero arbitrio non è chiaro. Per uno scienziato un effetto senza causa non esiste. Il nostro comportamento è sempre determinato da una causa e questa nel caso del “libero arbitrio” non può che risiedere nel nostro sistema nervoso. Qui Massimo confonde il libero arbitrio, come problema filosofico e giuridico, con qualche cosa di molto più semplice e banale. Può la società imporre dei farmaci a una persona che non li vuole? La risposta è certamente: no. Non mi sembra però che questo sia un problema né attuale né di cui preoccuparsi. Può un medico consigliare a persone con disturbi gravi della personalità (narcisismo, borderline, psicopatici) farmaci che migliorino la loro vita? Non solo può, deve. Se queste persone fossero felici non si rivolgerebbero a medici, psicologi, psicoanalisti, eccetera per dare maggiore senso alla loro vita. Aiutarli è un dovere. Forse più che parlare di sofisti in cerca di pubblicità, sarebbe il caso di citare un bel libro appena uscito di Simon Baron-Cohen: “Zero degree of empathy:  A new theory of human cruelty”. La mancanza di empatia è una sofferenza per chi ne ha poca, ma, forse ancora peggio, può determinare sofferenze agli altri. Ai familiari e parenti, ma anche a tutta la comunità.

Ultima “perla” è il tentativo maldestro di trovare implicazioni sull’uomo dalle risposte empatiche dei ratti attraverso improbabili e superficiali riflessioni tratte dalla nostra quotidianità. Il chirurgo senza empatia. Tipico esempio di confusione “à la Decety”. Certo che quando il chirurgo opera non può mettersi a piangere per pietà del paziente o perché vede del sangue, ma se vede sua figlia che è a terra ferita in un incidente, sicuramente prova empatia. Se no non è un chirurgo, ma è un mostro. Massimo, sorry. 

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