Non si può certo dire che Ron Fouchier misuri le parole. Il virologo dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam infatti ha presentato il virus H5N1 da lui modificato come “un agente infettivo capace di annientare metà della popolazione mondiale”. Ovvio che l’annuncio, trapelato dall’European Scientific Working group che si è tenuto un paio di mesi fa a Malta, e poi ribadito dall’esperto olandese a chi lo ha intervistato, abbia creato preoccupazione e sconcerto.
Che senso ha rendere ancora più pericoloso uno dei virus più letali che finora la specie umana abbia conosciuto? E’ una ricerca eticamente accettabile? Occorrono nuovi meccanismi od organismi super partes di controllo? E ancora: qual è la rivista che può prendersi la responsabilità di pubblicare il lavoro, potenzialmente in grado di diventare un perfetto “libretto di istruzioni” per bioterroristi o per nazioni in cerca di nuovi strumenti bellici? E come escludere che, anche solo a causa di un qualunque, banalissimo, errore umano, il nuovo virus creato in laboratorio riesca a sfuggire ai controlli e diffondersi nell’ambiente?
Davanti a tante domande occorre fare un po’ di chiarezza. Prima di tutto il virus non è stato ottenuto con le tecniche della biologia sintetica, non è cioè stato progettato e costruito in laboratorio, né è stato modificato artificialmente con le tecniche dell’ingegneria genetica. «Con la genetica inversa non riuscivamo a ottenere risultati» ha ammesso lo scienziato, «per cui siamo tornati ai metodi più tradizionali: abbiamo trasmesso il virus da furetto a furetto fino a quando ha acquisito la capacità di trasmettersi per via aerea, contagiando gli animali che si trovavano nelle gabbie vicine a quelle che ospitavano i furetti ammalati». Una modalità che riflette quel che accade normalmente in natura e che dimostra come non si possa escludere che il virus dell’aviaria possa imparare spontaneamente a trasmettersi tra i mammiferi così come fa tra gli uccelli. Lo studio infatti è stato condotto sui furetti, ma il comportamento dei virus influenzali in questo modello animale rispecchia in maniera abbastanza fedele quel che si verifica anche negli esseri umani: tutti i ceppi di virus influenzale finora noti capaci di passare da furetto a furetto lo fanno anche da uomo a uomo.
Questa capacità finora al virus dell’aviaria mancava. E’ questo che ha permesso di tenerlo a bada, impedendogli di scatenare una pandemia apocalittica come quella prospettata dal ricercatore olandese, sebbene H5N1 abbia la capacità di uccidere circa la metà delle persone che colpisce: in tutto il mondo circa 500 vittime, finora.
«Noi abbiamo dimostrato che, per superare questa scarsa contagiosità, che finora ci ha protetto, basta che si ritrovino in un unico ceppo cinque mutazioni già esistenti in natura in forma isolata» dice Fouchier, che a dire la verità non è stato l’unico a ottenere questo risultato. Dati analoghi sono stati ottenuti dal gruppo guidato da Yoshihiro Kawaoka alla University of Wisconsin, a Madison, e dell’Università di Tokyo. Pare che entrambi i lavori, già sottoposti a una rivista per la pubblicazione, siano attualmente sotto esame di un organismo di controllo, lo U.S. National Science Advisory Board for Biosecurity (NSABB),un comitato di esperti indipendenti nominato dal governo statunitense, che già in altre occasioni è stato chiamato in causa per fornire un parere, comunque non vincolante, su ricerche potenzialmente pericolose.
Non sono comunque casi isolati. Anche ricercatori dei Centers for Disease Control and Prevention spiegano in questi giorni su Virology come hanno creato due diverse versioni di virus dell’influenza aviaria capaci di trasmettersi tra i furetti, seppure in maniera più limitata, e altri scienziati, in tutto il mondo, per diverse strade, perseguono gli stessi obiettivi.
Ma perché avventurarsi per strade così insidiose? «Capire quali sono i geni chiave e le mutazioni indispensabili al virus per diventare più pericoloso per l’uomo è il presupposto indispensabile per non farci trovare impreparati, nella malaugurata ipotesi che questa trasformazione avvenga anche in natura» ha spiegato a Scienzainrete Ilaria Capua, responsabile del Dipartimento di Scienze Biomediche Comparate dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, che ospita il Centro di Riferimento Nazionale, FAO e OIE per l'Influenza Aviaria e per la Malattia di Newcastle ed il Centro di Collaborazione per le malattie infettive nell’interfaccia tra uomo e animale.
Anche sul rischio che la scoperta sia usata a scopi bellici o terroristici la scienziata italiana rimane perplessa: «Ci sono tanti agenti biologici o chimici più facili da usare! Perché mai ricorrere a questo, così difficile da controllare?». Anche Capua, comunque, diventata famosa in tutto il mondo per la sua battaglia a favore della totale trasparenza e condivisione delle conoscenze tra studiosi, ammette che in casi estremi come questo si potrebbe adottare qualche cautela: «Nella pubblicazione si potrebbero tralasciare passaggi fondamentali, da rendere noti su richiesta solo a scienziati accreditati».
La notizia su Science.