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Scienza e governance nella società del rischio

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Lo scorso 12 giugno, l’Accademia delle Scienze di Bologna ha ospitato il forum, organizzato da Arpa-Emilia Romagna e dalla rivista EcoScienza, Scienza, responsabilità e governo. La conoscenza scientifica per un approccio etico nella società del rischio". 

Rischio e conoscenza scientifica sono state le parole chiave dell’incontro: molte delle nuove tecnologie vengono oggi continuamente messe alla prova direttamente nell’ambiente e il confine tra laboratorio e mondo esterno diventa così sempre più sottile. La politica e, di conseguenza, la società vengono richiamate a ricoprire il ruolo - quasi inedito finora - di decisori e regolatori dello stesso sapere scientifico. In che modo è più corretto definire il ‘rischio’ in una società che affronta sempre più spesso eventi ambientali estremi? E come la conoscenza scientifica può contribuire quindi alle scelte di governo sui temi di sostenibilità e a dare autorevolezza agli enti e agli organismi coinvolti?

La chimica è forse la scienza che più di altre ha provato a descrivere la natura e a proporre soluzioni alle nuove emergenze ambientali che impongono di ridefinire il rapporto tra società, scienza e rischio - basti pensare, per esempio, a quella chimica verde che interviene nelle energie alternative o per le soluzioni di stoccaggio della CO2 e di depurazione delle acque.
Vincenzo Balzani, professore ordinario di chimica all’Università degli Studi di Bologna, membro del Gruppo2003 per la Ricerca e autore per Scienzainrete e di “Chimica!” ha partecipato all’incontro di mercoledì scorso.

“Se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo essere informati”, questa la citazione con cui lei ha introdotto il suo intervento a Bologna. Il mondo, intanto, sta cambiando in modi a volte difficili da descrivere o comprendere (si parla, infatti, di Nuovo Antropocene).

Crede che la consapevolezza di questi mutamenti, anche attraverso l’osservazione diretta  - i ‘fenomeni estremi’, per esempio, attribuiti al cambiamento climatico - possa dare un contributo a informare meglio la società in questo senso? 

V.B. Certamente. Essere consapevoli di quello che accade, del fatto che il mondo sta cambiando sotto i nostri occhi, a mio parere è una parte fondamentale della "conoscenza".
Il problema è che molti non si interessano di questi cambiamenti, altri li negano e altri ancora (e fra questi purtroppo anche alcuni scienziati) sostengono che non c’è da preoccuparsi perché la scienza e la tecnologia troveranno sempre le soluzioni adatte. E’ come per il PIL: molti pensano che possa continuare a crescere indefinitivamente, senza rendersi conto che viviamo, in numero sempre maggiore, in un pianeta che ha risorse “finite”. Per sottolineare che il mondo è cambiato, lo scienziato americano Bill Mckibben ha intitolato un suo libro “Eaarth: Making a Life on a Tough New Planet”, per sottolineare  che questa “Eaarth” non è più la “Earth” di prima e che quindi  bisogna cambiare stili di vita e modelli di sviluppo. Prendiamo il caso dell’energia: dal 1950 al 2012 il consumo di energia mondiale è aumentato, in termini di potenza annua, da 2.9 TW a 15 TW. Continuando su questa strada, tenuto conto dell’aumento della popolazione e dei consumi individuali, si è calcolato che nel 2050 sarebbero necessari 40 TW, cioè 25 TW in più di quelli attuali. Forse chi pensa che aumentare il consumo di energia non sarà un problema non sa che 25 TW sono equivalenti, ad esempio, alla potenza generata da  25.000 centrali nucleari e che, quindi, se volessimo continuare a crescere in questo modo e far fronte ai consumi energetici sviluppando il nucleare, dovremmo costruire due centrali nucleari al giorno, tutti i giorni, di qui al 2050. Si potrebbero fare mille altri esempi per dimostrare che non possiamo continuare a crescere in questo modo. Ecco perché nel mio intervento ho citato Hans Jonas: “... è lo smisurato potere che ci siamo dati, su noi stessi e sull’ambiente, sono le immani dimensioni causali di questo potere ad imporci di sapere che cosa stiamo facendo, e di scegliere in quale direzione vogliamo inoltrarci”. Imporci di sapere, cioè di conoscere, per poi scegliere. Siamo costretti a scegliere. Purtroppo per scegliere la conoscenza è necessaria ma non sufficiente: ci vuole anche la sapienza.

Definire il ruolo della scienza nei processi decisionali per affrontare le situazioni di rischio: si tratta di contribuire con le potenzialità tecniche o con i principi del metodo scientifico?

Anzitutto la scienza dovrebbe impedirci di cadere in situazioni di rischio. “Lo smisurato potere che ci siamo dati” di cui parla Jonas deriva dalla troppa fiducia nella scienza e nelle nostre capacità di riuscire a controllarne gli effetti. Il principio di precauzione, sul quale ha fatto un ottimo intervento il prof. Butti, se correttamente applicato ci può aiutare. Nel mio intervento ho insistito sui due compiti che ha la Scienza: esplorare, cioè “leggere” con la massima attenzione il libro della Natura, ed inventare, cioè “scrivere” sulle pagine ancora bianche che sono su questo libro. Con l’avvertenza, anzi l’obbligo morale, di non scrivere pagine dalle quali possano sorgere pericoli per la sostenibilità ecologica e sociale.

Da Fukushima a L’Aquila, negli ultimi anni scienza e scienziati sono tornati sul banco degli imputati. Superare certe diffidenze può aver a che fare con un ‘linguaggio’ più efficace?
Proprio la chimica, del resto, è spesso ricordata solo per i fumi e gli scarichi industriali...

Fukushima e L’Aquila sono due casi apparentemente molto diversi, in realtà strettamente collegati. E devono farci riflettere. In Giappone, prima di Fukushima, forti pressioni del governo e costosissime campagne pubblicitarie delle compagnie elettriche avevano costruito il mito del "nucleare sicuro". Libri di testo, centri di pubbliche relazioni, parchi tematici rivolti particolarmente ai bambini dove il nucleare era descritto come il paese delle meraviglie di Alice avevano inculcato l'idea che l’energia nucleare era non solo necessaria, ma anche assolutamente sicura. Così è accaduto che in un paese dove le auto con appena tre anni sono sottoposte a minuziose revisioni per poter circolare, reattori nucleari vecchi di decenni erano controllati solo da chi non aveva nessun interesse a fermarli. Evidentemente gli scienziati si erano “sottomessi” alle pressioni dei politici e dei gruppi finanziari interessati e hanno così mancato al loro dovere fondamentale di fornire informazioni corrette.

Ugualmente a L’Aquila c’è stata una ”sottomissione” degli scienziati ai desideri dei politici, i quali volevano trasmettere alla popolazione un messaggio tranquillizzante che, a causa dell’imprevedibilità dei terremoti, non poteva avere alcuna base scientifica. Gli scienziati sono stati quindi giudicati colpevoli non di non avere previsto il terremoto, come falsamente parte della lobby scientifica ha sostenuto, ma per aver  contribuito a formulare e consentito di diffondere un messaggio sbagliato, che poi ha avuto tragiche conseguenze. Come Pietro Greco ha chiaramente illustrato al Convegno, linguaggio e comunicazione sono due aspetti fondamentali nella scienza, ma due punti deboli per la maggior parte degli scienziati, cosa a cui si dovrebbe mettere rimedio visto il crescente impatto della scienza sullo sviluppo della società.

Scienziati e comunicatori hanno finora contribuito, in forme diverse, a descrivere i mutamenti del mondo. Cos’altro dovrebbero fare, ora, per la conoscenza scientifica?

Continuare a farlo. Gli scienziati imparando a divulgare, i comunicatori cercando di essere più precisi. C’è molto bisogno di “conoscenza” scientifica. E’ molto importante però che sia gli scienziati che i comunicatori non esagerino, gonfiando le notizie di significati “estremi” , cosa che purtroppo accade sempre più spesso. L’opinione pubblica è frastornata dal leggere tutto ed il contrario di tutto. E se è vero che su ogni problema ci sono “pro” e “contro”, bisogna farne un bilancio e presentarlo alla gente considerando che l’obiettivo è la sostenibilità ecologica e sociale. Come scriveva Einstein ai suoi colleghi, ”Concern for man himself and his fate must always constitute the chief objective of all scientific endeavors. Never forget this in the midst of your diagrams and equations” ("L'obiettivo principale di tutti gli sforzi scientifici deve essere sempre l'uomo e il suo destino. Non dimenticatelo mai, tra i vostri diagrammi ed equazioni", n.d.r).


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