Una delle più affermazioni più
acute mai pronunciate sull’importanza dell’innovazione scientifica l’ha fatta
uno dei filosofi più sottovalutati in assoluto, Ralph Waldo Emerson, pensatore
atipico e geniale. «Costruisci una trappola per topi migliore e il mondo ti
verrà a cercare». Emerson aveva capito che non basta partorire una grande idea
se non sai come metterla in pratica. Non basta la scienza, ma è necessaria la
tecnologia. E ora che il ciclo di mutazione delle tecnologie cresce a ritmi
esponenziali non è solo la ristretta cerchia della comunità scientifica a
doversi interrogare sull’evoluzione dei nostri saperi, delle nostre pratiche e
quindi dei nostri modi di vivere, ma è la società nel suo insieme che deve
progressivamente farsi attrice (e non più soltanto spettatrice) del progresso
tecnologico. Proprio per venire incontro a questa domanda di sapere
“tecnoscientifico” la BBC promuove fin dal 1948 le “Reith Lectures”, dei cicli
di conferenze divulgative tenute da personaggi di spicco (per favore, non fate
paragoni con il servizio pubblico nostrano). Le lezioni tenute di recente da
Alec Broers, già direttore del Dipartimento di Ingegneria dell’Università di
Cambridge, presidente della “Royal Academy of Engineering” e della Commissione
scienza e tecnologia della Camera dei Lord, sono state da poco raccolte in un
volumetto,
Il trionfo della tecnologia
(Bollati Boringhieri, euro 9,50) che proprio per i toni volutamente divulgativi
si presenta come agevole introduzione al multiforme mondo della tecnologia e
dei suoi ritrovati, dalla bicicletta ai led, dall’energia elettrica a quella
nucleare, dall’ingegneria all’informatica fino alle nanoscienze. E proprio il
capitolo dedicato alla scienza dello straordinariamente piccolo (un nanometro
equivale a un miliardesimo di metro, cinque volte il diametro di un atomo) è
forse il più riuscito, e forse non è un caso visto che Broers è stato uno dei
pionieri di questa stupefacente rivoluzione: quando era alla IBM fu il primo a
produrre un cavo “grande” 8 nm e, per giunta, con su scritto “USA 1976” a
lettere d’oro. Paragonate a un «complesso arazzo» intessuto da dozzine di fili
diversi, ognuno dotato di una sua propria specificità, le nanoscienze e le
nanotecnologie vengono descritte in tutte le loro applicazioni: dalla
produzione del primo chip in silicio con tecniche di nanolitografia negli anni
‘70, allo sviluppo dei primi microscopi a effetto tunnel nei primi anni ’80,
strumenti grazie ai quali siamo riusciti a osservare per la prima volta,
sottolinea ammirato Broers, la collocazione dei singoli atomi; dalle prime
produzioni nanometriche nell’ingegneria meccanica, si pensi alle cosiddette
marmitte catalitiche, esempio perfetto di oggetti comuni in cui particelle
nanometriche vengono impiegate per catalizzare complesse reazioni chimiche al
fine di ridurre l’inquinamento, fino ad arrivare ai risultati sempre più
strabilianti della scienza dei materiali e della cosiddetta “fabbricazione
molecolare”, in pratica la possibilità di costruire sistemi “viventi” e
“autoreplicanti”.
Ma qui, dal presente, si passa a
scenari futuribili. Scenari che fanno paura a molti. Strano a dirsi, riflette
Broers, ma proprio oggi serpeggia un atteggiamento antitecnologico che si
manifesta sotto forma di diffidenza verso i progressi di singole discipline. «La
spiegazione più immediata della mancanza di apprezzamento per le tecnologie
moderne è che queste siano così complesse da poter essere capite solo dagli
esperti. Ma ciò è vero solo se cerchiamo di comprenderne tutti i dettagli. È
compito di chi crea queste tecnologie - avverte il tecnologo inglese - spiegare
con un linguaggio semplice ciò che è stato fatto, in modo che possa essere compreso
anche dai non esperti. Siamo noi, gli scienziati, quelli da rimproverare». Richiamo
alla semplicità e pure autocritica, chiedere di più davvero non si può a chi
dall’alto della scienza e della tecnologia cerca di spiegarci come la scienza e
la tecnologia ci hanno resi quelli che siamo.