L’incontro-scontro tra Garattini e Boiron, cui fa capo una delle maggiori ditte produttrici di rimedi omeopatici, tenutosi ieri a Milano e trasmesso in diretta sul sito del Corriere della Sera (www.corriere.it) costituisce un’istruttiva introduzione a una trattazione del caso "omeopatia". L’incontro ha infatti messo in evidenza la complessità e la molteplicità degli aspetti dell’omeopatia (non solo scientifici, ma anche etici, economici e politici) e il fatto che la scienza tradizionale si scopre poco attrezzata ad affrontare questo problema, a meno di cambiare radicalmente punto di vista, passando, nella fattispecie, da una visione farmacocentrica ad una antropocentrica.
"Come fa ad agire qualcosa che non esiste? " si è chiesto Garattini, alludendo al fatto che nei prodotti omeopatici il principio attivo è diluito tanto che la probabilità di ritrovare anche una sola molecola del principio di partenza è praticamente uguale a zero. Questo significa, ha ribattuto, Boiron, che non sappiamo come agisce ma questo non esclude che l’omeopatia sia efficace. L’efficacia dell’omeopatia, insisteva Boiron, è provata dall’esperienza di coloro, medici e pazienti, che da più di due secoli l’hanno utilizzata e continuano ad utilizzarla.
Questi, in sintesi, i termini del confronto tra Garattini e Boiron, un confronto, inizialmente, tra sordi. C’è voluto l’intervento del moderatore, Luigi Ripamonti, che ha fatto notare come i medici omeopati dedichino al paziente molto più tempo e attenzione dei medici tradizionali, e l’intervento di un pittoresco professore di immunologia, che ha ricordato che il nostro cervello produce sostanze ad attività farmacologica che si chiamano endorfine e dopamina, per fornire una chiave interpretativa capace di imprimere alla discussione un tono più interattivo.
Una chiave interpretativa
Questa chiave si chiama ‘effetto placebo’ ed è il risultato di meccanismi cerebrali di natura cognitiva, sia consci che inconsci, attraverso cui il contesto che accompagna qualsiasi intervento terapeutico, sia omeopatico che allopatico, produce effetti che possono essere anche molto specifici, dato che utilizzano meccanismi biologici comuni a quelli attraverso cui agiscono i farmaci veri. In realtà questa chiave interpretativa è sicuramente nota sia a Garattini che a Boiron, solo che nessuno dei due era disposto a parlarne, dato che avrebbe significato per ciascuno dei due cedere qualcosa all’altro.
Neuroscienza del placebo
Il contesto terapeutico alla base dell’effetto placebo è complesso ma non c’è dubbio che la sua componente più importante sia il medico, sia esso allopata sia omeopata. Il medico crea nel paziente un’aspettativa attraverso la parola con cui accompagna la medicina o il rimedio, attraverso l’attenzione che dedica al paziente, con l’empatia che suscita e la fiducia che il paziente ripone in lui. Questa aspettativa non necessariamente è positiva (placebo); certi medici e contesti , per es. quelli ospedalieri, esercitano aspettative negative (nocebo).
Al meccanismo conscio dell’aspettativa si aggiungono meccanismi inconsci di natura condizionata per cui stimoli in sé privi di effetto cioè neutri, acquisicono la capacità di generare risposte fisiologiche quando siano ripetutamente associati a stimoli, come i farmaci, dotati di proprietà non-condizionate.
Queste risposte sono simili a quelle del cane di Pavlov , che risponde al suono di un campanello che gli preannuncia il pasto. In maniera analoga, in un soggetto affetto da dolori profondi, l’iniezione di una semplice soluzione salina da una siringa ripetutamente utilizzata per iniettare la morfina finisce per produrre effetti analgesici bloccati dal naloxone , cioè, da un farmaco che blocca specificamente gli effetti della morfina.
Con un procedimento analogo, la stessa iniezione di salina associata ripetutamente ad un farmaco antiparkinsoniano, non solo è capace di produrre un effetto antiparkinsoniano ma questo effetto è associato ad una liberazione di dopamina nelle stesse aree dove agisce il farmaco antiparkinsoniano.
La specificità dell’effetto del placebo è in certi casi, straordinaria. Così, il gruppo di Fabrizio Benedetti , fisiologo di Torino, ha mostrato che il placebo è in grado di produrre una riduzione della rigidità parkinsoniana cui si correla con straordinaria precisione temporale e quantitativa l’inibizione dell’attività di scarica (firing) nei neuroni del nucleo subtalamico, un effetto analogo a quello della stimolazione ad alta frequenza (DBS, deep brain stimulation) utilizzata per il trattamento del Parkinson avanzato.
Omeopatia ed effetto placebo
Bisogna chiarire che, per il momento, l’idea che l’effetto dell’omeopatia sia il risultato di un ‘effetto placebo’ è un’ipotesi di lavoro. Tuttavia, se si assume la buona fede dell’omeopata, questa è l’ipotesi più realistica. Così, Shang e coll in uno studio del 2005 pubblicato su Lancet, concludono che il rimedio omeopatico non ha effetti diversi dal placebo e che il meccanismo d’azione più probabile dell’omeopatia è l’effetto placebo.
Per questo motivo, al fine di valutare l’efficacia dell’omeopatia, non serve valutare l’efficacia del rimedio rispetto al placebo, ambedue somministrati da un omeopata. Bisognerebbe piuttosto paragonare l’effetto del rimedio omeopatico somministrato da un omeopata a quello dello stesso rimedio, somministrato da un medico tradizionale. Quanti di noi sarebbero disposti a scommettere sul risultato di questo tipo di esperimento se fosse Garattini nei panni del medico tradizionale e Boiron in quelli dell’omeopata?
Naturalmente, non necessariamente gli effetti dell’omeopatia hanno, in pratica, la stessa specificità di quelli ottenuti in laboratorio. Gli effetti dell’omeopatia possono esprimersi in un semplice ‘mi sento meglio’ che può significare riduzione dell’ansia anticipatoria, aumento del tono dell’umore, riduzione della percezione soggettiva del dolore, senso di minore astenia, maggiore capacità di attenzione, tutti sintomi che potremmo indicare come ‘non specifici’ ma sufficienti per il paziente a decretare il successo della terapia.
Aspetti medici ed etici dell’omeopatia
A questo punto si pone il problema se questa ‘efficacia’ dell’omeopatia, sufficiente a spiegare la sua diffusione, sia sufficiente dal punto di vista medico. La risposta a questa domanda è sicuramente negativa, per due ragioni principali. La prima, di natura scientifica, è che l’effetto dell’omeopatia è necessariamente transitorio, dato che, come tutte le risposte basate su un’aspettativa o su un condizionamento, hanno bisogno di essere rinforzate da un effetto diretto di un farmaco o di un intervento terapeutico fisico. In mancanza di questo rinforzo, e questo è il caso dell’omeopatia, l’effetto placebo e quindi l’efficacia dell’omeopatia si estingue. Nel caso dei farmaci veri e propri, che hanno proprietà intrinseche, l’effetto placebo viene continuamente rinforzato dall’effetto farmacologico. Questo vale , anche se in misura minore, per la fitoterapia.
La seconda ragione è di natura etica, dato che un principio della professione medica è che il medico debba fornire al paziente la migliore terapia tra quelle che rientrano nella sua conoscenza e disponbilità. E’ evidente che un medico che ha compiuto normali studi di medicina, non può pensare che l’omeopatia sia la migliore cura possibile. In certi casi, infatti, vi è il rischio che l’uso dell’omeopatia impedisca l’uso di farmaci capaci di agire direttamente e incisivamente sul processo morboso. In questo caso si potrebbe anche configurare un reato penale.
Ci possono essere casi, tuttavia, nei quali il medico potrebbe prendere in considerazione l’opportunità di utilizzare un placebo, ritenendo la condizione del paziente di natura esclusivamente psicologica. Questo problema è stato affrontato recentemente da Edzard Ernst, che insegna Complementary Medicine all’Università di Exeter, UK in una lettera a Trends in Pharmacological Sciences da titolo significativo: "Homeopathy: a helpful placebo or an unethical intervention?".Se è vero, come molti esperti ritengono, che il preparato omeopatico non è altro che un placebo, che male , c’è, si chiede Ernst, a prescrivere il rimedio omeopatico se questo aiuta il paziente?
Secondo Ernst questo comportamento è professionalmente non-etico, dato che per essere efficace deve generare un’aspettativa nel paziente e questa può aver luogo solo falsificando agli occhi del paziente le proprietà del rimedio.
Conclusione
In conclusione, le neuroscienze e la psicobiologia forniscono una convincente spiegazione della capacità dell’omeopatia di produrre effetti che il paziente può recepire come benefici e trarne sollievo. Questo giustifica la diffusione ed il successo di questa pratica. Tuttavia, l’uso dell’omeopatia a scopo terapeutico non è giustificato né da un punto medico, dato che la sua efficacia è dimostrabilmente inferirore e transitoria rispetto alle terapie tradizionali, nè da un punto di vista etico , dato che la sua applicazione comporta la falsificazione delle informazioni che il medico è tenuto a trasmettere al paziente al fine di ottenerne il consenso alla terapia. Alla fine, come scrive Ernst, che motivo c’è di fornire un placebo privo di proprietà intrinseche, come il rimedio omeopatico, se possiamo trasmettere, attraverso la parola ed il nostro carisma, le stesse proprietà del rimedio omeopatico a un farmaco, con tutti i vantaggi che l’uso di questi comporta?