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Energia, consumi, ambiente e salute

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L’interessante articolo di Federico Valerio sull'ultimo numero di Epidemiologia e Prevenzione ci toglie un po’ il gusto del caminetto e della legna che brucia, informandoci con stime e dati affidabili che l’impiego a scopi energetici delle biomasse legnose, in apparenza “verde e sostenibile”, comporta un importante impatto sulla qualità dell’aria e, di conseguenza, sulla salute umana. Un tassello in più nel dibattito sulle scelte energetiche e sui relativi effetti sull’ambiente e sulla salute. Un dibattito che è stato acceso e confuso nei tempi in cui il nucleare sembrava dietro l’angolo, ma che oggi è urgente in forme e modalità più composte. Sono infatti all’ordine del giorno misure idonee a contrastare i cambiamenti climatici in un periodo in cui la crisi economica stravolge strategie consolidate e priorità acquisite. La dimostrazione lampante è che il Ministero dello sviluppo economico ha promosso di recente, nell’ambito del pacchetto «Cresci Italia», incentivi fino a 100 milioni di euro per l’attivazione, il rafforzamento e il sostegno della filiera delle biomasse nel Sud Italia. Un provvedimento che, secondo l’articolo di Valerio, potrebbe comportare un aumento considerevole delle emissioni di nerofumo (black carbon) e di gas serra.

RIDURRE LE EMISSIONI È UN DOVERE

D’altra parte, la riduzione significativa delle emissione del nerofumo, dei gas serra e dei precursori dell’ozono è la sfida di questa epoca a cui il mondo non può sottrarsi. E’ di questi giorni un articolo pubblicato su Science che individua le misure e le scelte (gran parte nel campo dell’energia) utili per il miglioramento della qualità dell’aria e la riduzione del riscaldamento globale con vantaggi significativi per la salute umana e l’agricoltura. Un impegno sostanziale è del resto vincolante per il Climate Change and Energy packet dell’Unione europea che prevede per il 2020 una riduzione delle emissioni di gas serra del 20%, il miglioramento dell’efficienza energetica del 20% e la produzione del 20% del consumo energetico da fonti rinnovabili.

L’Unione europea ha inoltre avviato il processo di revisione degli standard di qualità dell’aria, previsto dalla Direttiva 50/2008 per il 2013, perché vengano fornite indicazioni legislative inderogabili ai Paesi membri sul tema dell’inquinamento atmosferico, oggi fuori controllo in molti aree, Italia inclusa. In questo contesto, mi sembra opportuna una breve riflessione sul tema della domanda di energia e, soprattutto, sui suoi maggiori determinanti. Riscaldamento, cucina, trasporti, consumi, la nostra vita quotidiana richiede una grande disponibilità di energia. Nel sistema dei valori e dimisura del mondo occidentale, all’aumento della richiesta energetica corrisponde un aumento del PIL.

I combustibili fossili hanno continuato a dominare il mix di combustibili: circa il 79% del fabbisogno energetico della media europea è soddisfatto dal carbone, gas e petrolio. Circa il 13% proviene da centrali nucleari e il restante 8%proviene da fonti rinnovabili (energia soprattutto eolica e solare). Ma queste fonti energetiche sono limitate e destinate a esaurirsi, lo si sa da tempo. In più la combustione di petrolio, gas e carbone aumenta l’inquinamento atmosferico e produce gas serra, una minaccia tangibile per l’equilibrio della terra. Che ci sia necessità di fonti energetiche alternative è ormai chiaro e la corsa è a trovarne di nuove economicamente convenienti. L’articolo di Federico Valerio ci fa riflettere sul fatto che non sempre l’alternativo ed economicamente conveniente è in grado di risolvere il problema dell’impatto ambientale e sanitario.

IL PESO DEI CONSUMI INDIVIDUALI

E allora pensiamo a ciò che determina il bisogno di energia, i “consumi”. Dai dati della European Environmental Agency, l’europeo medio consuma l’equivalente di 3,7 tonnellate di petrolio all’anno in elettricità, riscaldamento e trasporto. Ciò corrisponde a 7,8 tonnellate di emissioni di CO2 legate ai consumi energetici. La spesa energetica nel trasporto è quella in più rapida crescita dal 1990, ed è oggi la modalità di consumo di energia più grande. Le attività produttive in tutti i settori economici (industrie estrattive, agricoltura, energia, trasporti e produzione) sono quelle direttamente responsabili della gran parte dei consumi energetici.

Tuttavia, sono i consumi individuali i principali fattori causali che inducono la richiesta alle strutture produttive. In sostanza, è il consumo individuale che porta alla creazione diretta delle pressioni ambientali, dal guidare l’auto, al riscaldare la casa con combustibili fossili fino ai vestiti che indossiamo e al cibo che mangiamo. Dal momento che una quota crescente dei beni finali e intermedi consumati in Europa viene importato, una percentuale crescente degli impatti causati dal nostro consumo avviene in altre parti del mondo.

L’impronta media ambientale (un indicatore delle pressioni ambientali derivanti dal consumo) per persona nei Paesi sviluppati è circa il doppio della biocapacità disponibile (un indicatore della capacità biologica di smaltimento) degli stessi Paesi. Un’analisi della European Environmental Agency in nove Stati membri dell’UE ha riscontrato che la maggior parte delle pressioni ambientali causate dai consumi sono dovute all’alimentazione (comprese le bevande), abitazioni emobilità. Queste tre grandi aree di consumo contribuiscono per due terzi alle emissioni di gas serra (e alle emissioni acidificanti e dei precursori dell’ozono). I costi per la società in termini di degrado ambientale e delle risorse naturali consumate non si riflettono ovviamente sui prezzi dei beni e dei servizi. Paghiamo a basso costo beni e servizi ma non paghiamo i danni all’ambiente, agli ecosistemi e alla salute umana che questi comportano.

ECCO COSA FARE

La corsa ai consumi, e il costante spreco energetico, è oggi istituzionalizzata (economicamente, politicamente, tecnicamente e socialmente), e di conseguenza sembra normale e inevitabile per la maggior parte di noi. Quando si parla di “crescita” nell’Italia di oggi in recessione, di altro non si parla se non dei metodi e degli incentivi per aumentare la corsa ai consumi. E allora come risolvere la contraddizione? Quali alternative? La risposta è già venuta da molti movimenti ambientalisti: sono indispensabili scelte e modelli individuali e collettivi di consumo più sostenibili. Gli esempi sono numerosi:

  • alimentazione diminuire il consumo di acque minerali (l’Italia è oggi il Paese a maggior consumo), preferire cibi a minor impatto e di produzione locale, diminuire il consumo di carne; 
  • per la casa e gli ambienti scelta di prodotti Ecolabel e a basso consumo energetico, riduzione delle temperature interne, riduzione del dispendio energetico in centri commerciali; 
  • nel trasporto muoversi di più a piedi o in bicicletta, usare i mezzi pubblici e, se è proprio indispensabile usare l’auto, sperimentare il trasporto collettivo, ridurre il volume delle auto circolanti (l’auto di oggi è più grande di quella del passato, non solo inquina ma occupa più spazio, e l’aumento dello spazio diminuisce la fluidità e aumenta la congestione), preferire veicoli a basso consumo, ridurre la velocità; 
  • per gli amministratori introdurre un meccanismo di tassazione progressiva per capacità inquinante. 

Il tutto per indirizzare verso prodotti e servizi con pressioni ambientali relativamente basse, cultura, attività del tempo libero, comunicazione, istruzione e turismo sostenibile. Insomma, un «Cresci Italia» ma senza sprecare e con un minor impatto sull’ambiente e la salute. Il sogno era che tutto questo fosse previsto nel Piano nazionale per la prevenzione.

Pubblicato su Epidemiologia & Prevenzione 2/2012

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