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I dieci anni che sconvolsero il mondo

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La National Science Foundation (NSF), l’agenzia federale che coordina la ricerca scientifica negli Stati Uniti d’America, ha presentato di recente il nuovo rapporto sui Key Science and Engineering Indicators. Il rapporto, che viene pubblicato con cadenza biennale a cura del National Science Board, è l’occasione per fare il punto dello stato della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico (R&S) negli Usa. Tuttavia esso è accompagnato da un’analisi sintetica, ma molto efficace e puntuale, su cosa bolle nella pentola della scienza e dell’innovazione tecnologica a livello mondiale.

In quest'ultimo rapporto la NSF prende in esame più di un decennio – dal 1996 al 2007 – e rende conto di un vistoso cambiamento in atto a livello globale. L’analisi non offre novità assolute. Parla di un'evoluzione del sistema di cui Scienzainrete  ha dato conto in passato. Tuttavia la sintesi, confezionata da un osservatorio autorevole e privilegiato, propone un quadro davvero interessante. Che dovrebbe spingere molti – in Italia, ma anche in Europa – a riflessioni profonde e di lungo periodo.

1. In questi dodici anni la quantità degli investimenti in R&S a livello mondiale è aumentata in maniera vistosa. In appena dodici anni la spesa planetaria in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico (a parità di potere d’acquisto delle monete e, dunque, al netto dell’inflazione) è più che raddoppiata, passando dai 525 miliardi di dollari del 1996 a oltre 1.100 miliardi di dollari del 2007.

Vale la pena ricordare che nei due anni successivi, nel 2008 e 2009, malgrado la crisi economica mondiale, gli investimenti globali non hanno subito flessioni, anzi sono leggermente aumentati e un ulteriore incremento si prevede per l’anno in corso (fonte: R&D Magazine).

2. In questi ultimi dodici anni si è modificata la geografia della ricerca. Gli Stati Uniti sono sempre primi negli investimenti assoluti (si deve a loro un terzo della spesa globale) e con 360 miliardi di dollari spesi nel 2007 superano nettamente l’Europa (260 miliardi) e le 8 principali economie dell’Asia (Cina, India, Giappone, Malesia, Singapore, Corea del Sud, Taiwan e Thailandia), che nel 2007 hanno investito complessivamente oltre 330 miliardi di dollari.

Ma proprio questa è la novità del decennio. L’arrivo, in forze, dell’Asia. Che ha nettamente superato l’Europa (fin dal 2003) e nei prossimi anni si accinge a superare gli stessi Stati Uniti.

3. Anche il quadro dell’intensità di ricerca (ovvero degli investimenti in R&S rispetto alla ricchezza prodotta, misurata dal Pil) ci restituisce un quadro dominato dall’Asia. L’intensità di ricerca è una misura di quanto un paese “crede” nella R&S. Tra le grandi economie il Giappone si conferma, con il 3,4% della spesa in R&S rispetto al Pil, come quella che ha maggiore “fiducia” nella ricerca. Ma il Giappone è stato superato da un altro paese asiatico, la Corea del Sud, che ormai spende in R&S il 3,5% del Pil.

Al confronto l’intensità di ricerca negli Usa è più bassa (2,6%) e in Europa è vistosamente più bassa (1,8%).

Ma quello che è importante è la tendenza. In Asia l’intensità di spesa tende ad aumentare, negli Usa è stabile, in Europa è in leggera diminuzione.

4. La tendenza asimmetrica diventa evidente quando si prende in esame la crescita degli investimenti assoluti. Nel decennio preso in esame, la spesa assoluta in R&S in Usa e in Europa è aumentata al ritmo del 5-6% annui. Tra le otto grandi economia asiatiche è aumentata a un ritmo doppio, superiore al 10% annuo. E in Cina è aumentata addirittura a un ritmo medio superiore al 20% annuo.

L’Asia della ricerca galoppa. Gli Stati Uniti cercano di tenere il passo. L’Europa non ce la fa.

La scienza ha un valore culturale enorme. Ma la ricerca ha anche effetti economici enormi. La storia dell’ultimo mezzo millennio dimostra che lo sviluppo scientifico e lo sviluppo economico vanno di pari passo. E anche oggi possiamo facilmente verificare che il cambiamento della «geografia della ricerca» è del tutto coerente con il cambiamento della «geografia economica».

Molti, tuttavia, in Italia e in Europa non se ne sono accorti. Ma senza consapevolezza sarà difficile impedire il declino del Vecchio Continente e, ancor prima e più profondamente, dell’Italia.

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